giovedì 27 dicembre 2012

Se Sel diventa la cucina della politica

La bottega di Marco Povero, a Lecce, lì dove Sigismondo Castromediano guarda il palazzo del potere cittadino offrendo in dono un libro, è luogo che fonde e virtuosamente confonde odori e sapori. Un luogo del cibo e della convivialità che, ieri mattina, nel giorno di Santo Stefano, ha accolto la dichiarazione di voto di Carlo Salvemini - outsider politico, ispiratore dell’Associzione Lecce Bene Comune - per le Primarie indette da Sel, il prossimo 30 dicembre (in concomitanza con quelle del Partito democratico) per scegliere i candidati alla prossima corsa parlamentare. Accanto a lui, la “strana coppia”, così l’ha definita il  consigliere comunale: Sonia Pellizzari e Dario Stefàno.
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Una giovanissima donna, “precaria, madre e convivente” e un uomo delle Istituzioni, già in Confindustria e con Nichi Vendola eccellente Assessore alla Agricoltura, uno dei tratti distintivi di una capacità di Governo votata, in questi anni, alla piena valorizzazione delle risorse e delle molte qualità produttive della Puglia.
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Due esempi - Pellizzari e Stefàno - di quei “sapori” anche differenti, anche lontani che la migliore Sinistra ecologia e libertà sa esprimere quando mette da parte le “vecchie” categorie della politica - quelle strette dell’appartenenza o quelle di un ostentato “rigore” ideologico - per volgersi al nuovo, ad una contemporaneità che chiede alle militanze di farsi prima interpreti del proprio “personale politico” per poi divenire testimonianza, proposta, atto, lavoro nei territori.
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Questo delle primarie è la continuazione di “viaggio” (per usare un termine di Sonia Pellizzari) cominciato quasi dieci anni fa che trasversalmente coinvolge generazioni  diverse, quelle   che hanno compreso - nella Puglia Migliore di Vendola - che l’esercizio e la pratica politica sono realizzabili e virtuosi quando fondati sulla reale esigenza di coniugare un’istanza di Governo con il “sogno”, con l’utopia che chiama a guida la “bellezza”,  così come fa Marco Povero nella sua bottega, così come fa un cuoco quando chiama il gusto ad osare, nel confronto con una pietanza...
O come accade in un concerto, o nell'allestimento di una mostra oppure, oppure, oppure...

domenica 23 dicembre 2012

Manca qualcosa?

Sarà che son stupido - me lo dico ogni mattina, al risveglio, nel continuo cercare di capire ciò che non capisco... ma  come si fa a non considerare spreco, inutile spreco, (anche se dicono gratuito) il modo in cui, l’Amministrazione Comunale, offre il Natale ai cittadini... Leggete: “Dopo le luci, l'albero sull'ovale della piazza, il raggio laser che attraversa in direzione Betlemme tutta via Trinchese, la grande stella cometa, il presepe nell'Anfiteatro Romano e il 3D Video Mapping sul Palazzo INA di piazza S. Oronzo arriva, ultimo in ordine temporale, il contributo dell’Assessorato di Andrea Guido: una monumentale immagine sacra della Madonna proiettata nei pressi dell’anfiteatro a fare da sfondo al grande presepe”,  così in una nota dell’amministrazione comunale. A che serve tutta questa “roba” certo non aiuta a comunicare il senso di questo Natale. Forse ci vogliono ispirare speranza? Bha! Qualcosa manca...

sabato 22 dicembre 2012

Lui è solo, speriamo!

“Neanche una telefonata, m’ha fatto” si lamenta Silvio Berlusconi con Mario Monti , da lui nominato “federatore” del Centrodestra... non ha voluto!?, e allora botte... Attacca, il conducator, ops... il federator;  se attacco si può chiamare il continuo vaneggiare  di chi, isolato, cerca di mantenersi a galla. Che questo fa l’uomo col doppiopetto e la camicia nera sfondando le orecchie agli italiani appena gli è a tiro un microfono o una telecamera. Se non ne vede, se li va a cercare, e m’immagino la pena del suo ufficio agitazione e propaganda  - anche se, in verità, credo faccia tutto da solo, chi mai gli può star dietro? - a dover chiamare quello e quell’altro per concertare ospitate senza contraddittorio. Scontate quelle giocate in casa ad uso e consumo dei lacchè... le altre verranno e ci accorgeremo che Lui, è solo, sempre più solo. Neanche un “fratello d’Italia” a far compagnia... Insomma il “centrino”, quello del vaticinio per Monti, sarà il suo. Speriamo!

venerdì 21 dicembre 2012

Le Manie e l'Ascolto XII edizione per Edoardo De Candia



Il Fondo Verri organizza l’XII edizione de Le Mani e l’Ascolto – incontri con il pianoforte tra parole e suoni, appuntamento ormai consueto nel cartellone che l’Amministrazione Comunale di Lecce stila e promuove per le festività del Natale e del Capodanno.
Il pianoforte, gli interpreti di questo meraviglioso strumento e poi libri, esperienze autoriali, ricerche sonore e visuali per una rassegna di suoni e di parole che avrà luogo e pubblico dal 27 dicembre al 5 gennaio nella sede dell’associazione in via Santa Maria del Paradiso. Questa dodicesima edizione è dedicata ad Edoardo De Candia - “Cavaliere senza terra, visionario e purissimo” così lo definiva Antonio L. Verri - nel ventesimo anno delle sua scomparsa
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Lecce è città che dimentica. Ricomincia sempre daccapo scordando facilmente maestri e radici.
Alla materia della memoria è dedito il Fondo Verri inseguendo il filo delle immagini e dei ricordi dedica il suo lavoro mantenendo desta la visione di un percorso organico e storico, nel divenire dei segni espressivi.
Attenti al margine, alla linea di confine, alla luce “minoritaria” che sempre nutre e cresce tradita dai più nella loro urgenza di consumare il Tempo.
Pochi, ormai, lo ricorderanno, Edoardo De Candia, l’artista, il pittore, quello che se ne andava in giro per la città, sempre a piedi con un rotolo di “pitture” sotto il braccio.
Lui, era un uomo “liquido”, imprendibile! Uomo del mare e dei boschi. Un uomo della natura, uno che non capiva la città, il divenire del “rumore” quel mormorare sempre dissacrante nel negare al corpo le sue necessità.
Edorado De Candia era corpo, azione e volo. Chi ha avuto la “fortuna” di prendere da quel rotolo, qualche sua figurazione, può capirlo questo, scovando il gesto nella velocità del tratto che mostra una marina, una pineta, un cuore catturato, chissà quant’altro in quello “sbrigarsi a fare” che, lasciando la pittura allo scambio, permetteva di far vivere la santità dell’essere, del suo esserci nella negazione. Una regalità la sua nudità, mai ostentata ma necessaria, performativa diremmo oggi: segno e monito, quell’essere Tarzan nella città, quel suo continuo camminare che neanche l’elettroshock è riuscito a fermare…
Edoardo De Candia morì a Lecce il 6 luglio del 1992, era nato nel 1933 da Margherita Querzola e Giuseppe De Candia.
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Il libro che accompagnerà l'intera XII edizione è “Edoardo” di Antonio Massari, pubblicato nel 1998 dalla Edizioni D'Ars.

La fine è non iniziare

Fine o inizio? Che importa! Solo marketing! Propaganda per dar benzina ai media. Stare a vivere è altra cosa! Guardo, intorno si muove la città, persa dentro una frenesia che non ha orizzonte. Frastornata. Sconfitta. Luci, lucine... a tenerle una ragnatela di fili, tutti a vista, orribili, quasi che l’allestimento non sia da guardare al mattino, nella sua approssimazione. Anche la musica diffusa sul corso della passeggiata: “Una cosa fastidiosissima” dice uno. Allora, non sono solo a pensare che tutto questo “festeggiare” è spreco! Solo spreco! L’assenza di un’idea di sobrietà, di rigore, di capacità creativa nell’ immaginare che il Natale può essere cosa diversa, che un presepe si può fare anche senza spendere una lira, posizionando un bambinello nella casa del Sedile... Ecco, la “fine” vera è in questo continuo consumare, in questo sprecare possibilità di rinascita... di nuovo pensare. Nell’occasione persa di mostrarsi come altra cosa.

giovedì 20 dicembre 2012

Bersani e le figliolanze

Si fanno nomi, in rete ed anche sui giornali, di candidati per il Partito democratico alle prossime elezioni politiche... e si fa scuro il cuore! Siamo alle solite: il problema leccese è un problema antropologico e non politico. Un inchiodamento nell’idea dell’essere subalterni all’aristocrazia (con tutti i suoi travestimenti) che si perpetua nel tempo, seminado figliolanze nei sistemi di potere e di gestione. Che tristezza! Quella viene, soltanto quella! Che la rabbia, non val la pena di spenderla a suffragio. Non è tanto per i padri o per i figli... ma non si sentono meschini ad esser nominati così come si usava per i cavalieri, con lo spadone calato sulla spalla? Almeno quelli, alcuni almeno, andavano a far battaglia. Questi stanno lì a parlare, parlare, parlare... che alla lunga con la loro saccenza rompon le cervella... Anche se li spacciano per nuovi son logori e logorati, non vi pare?

sabato 15 dicembre 2012

Dal secolo precode, la poesia di Marco Vetrugno



“Il mio orgasmo è l’inchiostro di queste parole. Il mio sogno scarabocchiato ha il peso di un foglio. La mia ispirazione ha articolazioni ossa vene e pelle. La mia gioia è stare seduto a delirare silenziosamente perché i sogni di vino sono effimeri e non possono aspettare”. Sono i versi che accompagnano l’uscita  e la prima presentazione alle Officine Ergot,  in Piazzetta Falconieri a Lecce di “Poetico Delirio”, libro di Marco Vetrugno edito da Lupo editore. L’appuntamento è previsto per lunedì 17 dicembre,  alle 21.00.

"Questo è il mio secolo precoce"... Già, da lì scrive quest'uomo che tanta cura ha dell'amore! Per questo scrive, almeno così pare se lo leggiamo. Questo, la sua scrittura, testimonia.
Sprofondo d'occhi, i suoi, che hanno saputo il vuoto... Quello assoluto dei lividi fiaccati dall'abitudine, dallo scavo che solo il "desiderio" sa fare verso l'indeterminato nell'inseguirsi dei ri-morsi che mai "pagano" e appagano.
"L'ultimo dei romantici" capace di fare rotte, di perdersi "come Ulisse/ con i suoi remi eversivi", è Marco Vetrugno.
La poesia è corpo, corpo che affina il "canto": la possibilità di essere espressione, anche in chi annichilito, resta muto, sbigottito da ardori che nel cammino si son fatti nodi, complessità irrisolte... poi urlo, finalmente! Fiore di coscienza...
"Non importa se dovrò sanguinare/ perchè ora devo inventare la realtà/ devo vivere cercando di annientare la rabbia/ devo plasmare la malinconia in serenità" così scrive Vetrugno, nel Canto XXVII di questa raccolta di versi che son grida accolte sul margine dell'abisso.
Oh! come viene meglio la voce da quell'orlo... Da dove si è capaci di "incidere la resa", di distillare "veleno/ con la pazienza dei folli". Lì, "la leggerezza dello scrivere/ è un anestetico/ per i dolori delle scapole affaticate in cerca d'ispirazione"... "In cerca di me" scrive il poeta, che maledetto non è, non vuole esserlo. Lui fa ordine nel caos... A quello mira e... "un fremito/ di gioia/ irrompe/ sotto la pelle che non fa più male" quando gli ultimi "ricordi" e le "solitudini" son finalmente compresse in 29 kilobyte.
Questo suo “Poetico delirio” è nel cammino. L'esperienza macina il Tempo lo rende unico nell'interpretazione che l'uno fa della vita.

Marco Vetrugno - Nato a San Pietro Vernotico il 19.01.1983 e vive a Lecce. Provato dalla prematura morte del padre sospende il suo percorso di studi per intraprendere (deludenti) esperienze lavorative. Al suo rientro a Lecce, riprende la frequenza scolastica conseguendo il diploma all’Istituto d’Arte. Appassionato di letteratura, frequenta la facoltà di Beni Culturali ed è impegnato nella stesura di una seconda raccolta poetica.

venerdì 14 dicembre 2012

Un invito!


Le “Storie Terragne” approdano al Fondo Verri domenica 16 dicembre a partire dalle ore 19.
Un dialogo tra parole e segni materici per offrire un “assaggio” delle storie raccolte e del cibo che le accompagna. Il libro racconta le storie di sei produttori coltivatori e curatori della terra nel rispetto della sua fertilità, del suo ritmo e dei suoi sapori autentici e nasce nell'ambito del progetto di Principi Attivi 2010 “Ter/ragno. Storie di enodissidenti e gastroribelli”.
L'esperienza proposta dall'associazione “In alto a sinistra” vuole essere un viaggio che coinvolge tutti i sensi attraverso suoni, sapori, odori e visioni. Le storie di Maira Marzioni consegnate al segno essenziale di Gianluca Costantini, grazie alla cura di Francesco Maggiore, hanno trovato porto sensibile nel libro-oggetto “Storie terragne”: al Fondo Verri prenderà forma il racconto di questo processo creativo e artigianale. Il libro contiene traccia degli esperimenti di tipografia e calcografia impropria che hanno caratterizzato la ricerca avviata durante l’anno: timbri autoprodotti, orme di cibo e di elementi vegetali e caratteri tipografici originari, “radiciosi”, come le storie che vanno a raccontare.

Come nasce un libro? e un buon albero di gelso o una puccia con le olive? Dalle mani che tracciano segni essenziali sul foglio e sulla terra.

Il libro è approdato il 20 ottobre alla Masseria Sant’Angelo di Lecce nell’evento P-orto di terra, in cui tutti i fili intrecciati durante l’anno hanno dato forma  a un’atmosfera di viaggio, ascolto, incrocio di linguaggi e visioni. Ne è nato un piccolo collettivo di persone che con diversi linguaggi e differenti esperienze ha deciso di cercare nuovi approdi perché le Storie diventino ogni volta vive e ancorate ai diversi contesti in cui verranno presentate.
Gesti minimi essenziali, condivisioni attorno al cibo, racconti di r-esistenze sensibili.

venerdì 7 dicembre 2012

Natura morta in giallo


Domani, domenica 9 dicembre, alle 18.00, sarà presentato nella sala conferenze del Castello medievale di Acquarica del Capo il film-documentario Natura morta in giallo, dopo la proiezione al 30° Torino Film Festival nella sezione Onde. Alle 17.00, si terrà l’inaugurazione della mostra fotografica. La proiezione sarà replicata alle  20.15 e alle 21.00.
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“Il giunco, in dialetto leccese paleddhu o pileddhu (da piccolo pelo), è una pianta che cresce nelle zone palustri e a ridosso delle spiagge. La sua lavorazione, dalla metà dell’800, è stata fonte di sostentamento di molte famiglie acquaricesi ma, a partire dagli anni sessanta, la bonifica dei terreni  palustri, l’avvento dei materiali plastici e l’emigrazione segnarono il declino dell’attività. Oggi quest’arte sopravvive grazie ad una manciata di donne e uomini che coraggiosamente la praticano”.
Questa è la “natura morta in giallo” ritratta da Carlo Michele Schirinzi con gli allievi di un corso di cinema tenuto dall’autore e regista salentino per Cartagine Multi Servizi Soc. Coop. di Acquarica del Capo  nell’anno 2012, per i “Bollenti Spiriti”.
Un’opera di grande intensità visuale che coniuga la necessità poetica a quella documentaria.
Rendere omaggio alle mani artigiane alla loro sapienza, rispondere all’urgenza di trovare, in quel fare, il senso per una lettura possibile del presente, al riparo, dagli schiamazzi e dalle vane urgenze di quello che orribilmente si definisce  marketing territoriale: occasione usurante che tutto svilisce e svuota rendendo merce anche l’intimità di un tempo infinito, fatto di attese, per speranze condite di pazienza e di silenzio.
Quello per primo viene - mischiato ai “piccoli” suoni curati da da Stefano Urkuma De Santis -  guardando le immagini, tarate nella sempre più particolare lingua di Schirinzi, che dosa il divenire del racconto straniando la visione, muovendola nel dove non si vede, in una contemplazione che spinge a cercare, ancora “dietro”, ancora e ancora, spiando ed espiando,  in una sacralità gestuale che fa gloria e preghiera al tempo della Natura e al tempo dell’uomo in essa.
L’intreccio delle fibre diventa simbolo di un’unione, di una conoscenza, che sa muovere alla compassione, al giusto accudire, alla cura. Già, alla cura, ciò che oggi a noi, più d’ogni altra cosa manca per far di-venire ciò che è “morto”, vita...
Mauro Marino

lunedì 26 novembre 2012

Con lo sguardo di Tina


di Santa Scioscio

Un pomeriggio ho fatto visita a Tina: Tina Modotti. Ho consegnato l’aria piena della città alla città - prima di entrare nel corridoio del Cineporto alle Manifatture Knos di Lecce - non valeva la pena portarsi dietro il peso dei suoi intrecci, i suoni, le luci , il suo umido impastato...
Andavo incontro alla Storia e in essa, alla storia di una donna. Tutte e due, ricche della bellezza asciutta di un tempo che fu denso di esperienze e di significazioni.
Il racconto che mi aspetta è quello fotografato dalla Modotti in Messico, negli anni fra il 1924 e il 1930. Storia nota e amata: femminilità, presenza, passione nella lotta, uomini e donne nel coraggio dell’osare rivoluzionario..
Lotta fatta e vissuta da Tina con la presenza politica e anche con lo “strumento” della fotografia.
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L’imbarazzo del primo impatto, varcata la soglia, è commovente. Essere ad un palmo dal guardare dell’autrice, sentirsi nel suo obiettivo, contemplare ciò che è stato del suo occhio, della sua mano, della sua mente, del suo corpo.
I suoni che accolgono provengono da un precedente momento della vita di Tina: quello della recitazione. Accompagnano gli anni in cui è interprete, bellezza teatrale della nuova arte cinematografica  o protagonista familiare in alcuni scatti fotografici da altri eseguiti.
Le fotografie, esposte in un corri sguardo lento e riflessivo, promettono una densità che detta la “didascalia”. É in queste, che Tina diventa autrice di visioni, scegliendo il mezzo fotografico per fare realtà e partecipazione, per dire dell’infausto e della incitante svolta sociale.
La suggestione dell’autrice posso immediatamente sentirla nella “sperimentazione di forme similari”. Si agita il mio respiro. Da qui ho inizio... l’ombra e il nero formano l’occhio attento di me osservatore. Mastico con gli occhi il quotidiano di quegli anni, e faccio incetta di tutto il bianco fra il nero e del nero fra il bianco per andare nella forma dell’obiettivo e respirarne l’atto che induce allo scatto, a quell’osservare e fermare la consapevole forma di concetti.
Evidenti significati attraversano con linearità la bellezza cruda, quella emblematica, e non fine a se stessa. E ne riconosco la sete di vedere, di documentare, di fare udienza agli oggetti comuni dalla pietra alla musica della libertà, dalla pannocchia agli stracci, alle mani impastate di risorse.
Ne riconosco il crepuscolo sovversivo.
Non basta guardare. La dimensione che queste immagini suscitano invita ad accarezzare quei volti e i bei capelli, a toccare le gonnellone e l’orgoglioso sombrero dei contadini, a schioccare le corde del burattinaio, ad entrare fra la folla partecipata nella comune lotta, assistere al pindarico scatto dell’ombra del volo di fili del telegrafo, a fare la riga alle chiome di donna.
Non basta guardare. Gli scatti concedono di far silenzio nel giorno faticoso della rivoluzione sanguinosa. Concedono far l'inchino alla forma brulla, alla folla che crede alla gratitudine.
Sento lo sguardo di Tina dove l’occhio è primordio di concetto.
Cosa mai può essere un fiore in un obiettivo che misura armonia, bellezza, qualità di natura nella fortuna del giorno?
Cosa mai può dire l’espressione serena, nella morbida guancia, su di un letto di morte di un assassinato... appagata beltà esiliata?
Calle due, rose di più, mani di più, occhi di più ancora, chitarre, massi, animali, bambini, uomini e donne, fili della scienza e fili per muovere burattini. Comizi e mercati.
Il costruire, nell’allattatrice e nell’operaio come nei fili del burattinaio.
E, il futuro,  nella falce e martello come nella donna di Tehuantepec.
Nostalgia a piedi nudi, tenace desolazione, speranza nella passeggiata di una bandiera femmina, ricchezza della fatica, fiducia povera dell’emarginato, lavoro e orgoglio di esserci per fare il nuovo solidale. I pochi anni di vita di Tina Modotti non mi bastano, a me torno. Oggi è ieri, quello della donna fatta gonna. Oggi è ieri, quello del richiamo alla rivoluzione sempre è. Nello stesso bianco e nero consegno la mia complicità al suo sguardo.

sabato 17 novembre 2012

Dal Cine-luogo - Storia di cinema nel Salento


di Cristian Sabatelli
ad illustrare la pagina de il paese nuovo dedicata al racconto

Il nostro racconto parte con un uomo, (C) che entra in un locale, un locale tutto bianco e morbido, un luogo che ricorda un bar, più precisamente il Korova Milk Bar, quello dei drughi di Arancia Meccanica, ma non è un bar, degli stands espongono delle foto, tratte chiaramente da film,     è un luogo di cinema.
Il nostro uomo è lì per cercare lavoro, è appassionato di video e da “indipendente”, sbarca il lunario da più di 10 anni lavorando come operatore e montatore, per svariate società di livello nazionale.
Come è abituato a fare invia Curriculum a destra e a manca, si aggiorna sulle produzioni che vengono a girare i film in zona, e si propone, come autore di “making of”, o “Dietro le quinte”, il “Backstage” per dirla semplice.
E’ il 10 di Ottobre del 2011, all’interno del “Cine-luogo” è in corso il casting per un film di fiction, per una importante società di produzioni, si gira una storia italiana, che racconta di avvenimenti in un epoca dura, un epoca di passioni e scontri, di fascisti e di uomini di ferro.
In maniera un po’ disillusa consegna il Curriculum a (S) Coordinator di Produzione.
Intanto sta lavorando su un documentario, una storia sociale, di uomini, donne e palloni, è in fase di montaggio, ed essendo un documentario autoprodotto ci si mette nei periodi “vuoti”, quando lavoro pagato ce n’è poco.
Non è un gran periodo, ma il nostro uomo ha gusti semplici, ciò che lo riempie di più è lo sguardo della sua famiglia, di sua figlia, e di sua moglie, incinta.
La mattina del 24 Ottobre squilla il cellulare, a quanto pare il riscontro positivo dell'analisi delle referenze ha fatto si che (C) fosse richiamato dai responsabili (S)  per riferire che la società in questione aveva bisogno di un backstage.
Si lavora, finalmente.
Così, l'appuntamento viene fissato sul set, a Nardò (LE), la stessa mattina.
Una terza figura entra in scena, (L) in qualità di organizzatrice generale, con la quale, dopo una contrattazione degna del miglior mercato rionale, da 1000 € proposti fissano il compenso per la realizzazione del backstage in 2500 €.
Comincia il film.
Sul set incontra vecchie conoscenze, macchinisti, elettricisti, responsabili comparse, e giù a salutarsi, ad abbracciarsi, nel cinema è così, ci si incontra sui set, si lavora insieme, ci si diverte , ci si ama, ma finito il film ognuno per sé e dio per tutti.
Inoltre è importantissimo mantenere una linea comportamentale “positiva”, perché le difficoltà (tante) che ci possono essere in un film devono essere risolte, subito, e con il sorriso, e a (C) non manca.
Sul set, il nostro (C) continua a lavorare, entusiasta, comunicando alla produzione via mail sia le difficoltà che le belle scene “portate a casa”.
Il dietro le quinte è sempre bello da raccontare, svela un po’ i trucchi del cinema, racconta degli attori che sbagliano, ridono, piangono, racconta di quei personaggi che in posizioni degne del miglior Houdini reggono pannelli di polistirolo sperando che la propria testa non sia nell’inquadratura. Sono i preferiti di (C).
Intanto con un ritmo costante sollecita alla produzione la firma del contratto da lui stesso posto via email all'attenzione di (L) ma viene continuamente rimandato.
Così (C) si rivolge direttamente agli uffici di produzione, a Roma, parlando con il presidente d'azienda responsabile, il dottor (S), il quale indica come referente di (C), il signor (M), responsabile di edizione della società, per tutto ciò che riguarda il backstage, e la sig.na (MH) come referente per i contatti con gli attori.
Il lavoro va avanti, (MH) scende a Lecce, insieme a (C) girano le interviste e così passa Novembre, le richieste di  (C) sulla firma del contratto risultano essere innumerevoli, senza alcun esito.
Così, alla fine delle riprese (16 dicembre) viene consegnato a (C) un assegno di 500 euro di cui rilascia fattura come acconto per la realizzazione del backstage, tuttavia senza ancora aver firmato alcun contratto che potesse testimoniare gli accordi presi in precedenza con la produzione.
Passa Natale e comincia il montaggio.
Il giorno 27 gennaio 2012 (C), via web, invia la sua versione definitiva del Backstage, il FINECUT in gergo cinematografico, aspettando il commento da parte dell'azienda interessata, per apportare eventuali modifiche e soddisfare le esigenze di produzione, come è sempre stato abituato a fare.
La data di consegna definitiva del Backstage è prevista per il 10 Febbraio come da Piano di Edizione inviato da (M) a (C).
I giorni passano, ma del commento non si hanno notizie, la Produzione latita, non risponde,
il 31 gennaio finalmente una piccola svolta, arriva via mail  il buon commento di (M), che ufficialmente pone le sue note: “Metti un po’ più di immagini di quell’attrice, il suo ruolo lo esige, per il resto secondo me è un buon lavoro”,  ma rimanda il commento definitivo al Dottor (S).
Qualche giorno dopo squilla il cellulare, (M) si è dimesso, tirato fuori dal progetto, motivi personali, dice.
Il referente cambia nella persona di (MH).
A questo punto, dietro incessanti richieste per ottenere il commento (C) chiama (MH) e parla con il Dottor (S), il responsabile dell'azienda, che pretende tutto il materiale girato prima di rilasciare un commento definitivo.
Basta, (C) perde la pazienza, e a sua volta pretende di avere il contratto prima di consegnare tutto il materiale. Viene minacciato telefonicamente dal Dottor (S), in maniera pesante, al telefono si sente la parola “estorsione”.
La telefonata si conclude con toni grossi, e (C) propone di risolvere la diatriba a Roma, presso gli uffici dell'azienda, consegnando il materiale e ricevendo “contestualmente” il pagamento per il lavoro svolto.
Il 14 Febbraio 2012 (C) è a Roma, il 15 cena insieme ai suoi amici, non nascondendo la vicenda, anzi ne parla chiaramente con (D) che cerca di abbassare la tensione, incoraggiando (C) che tutto si sarebbe risolto per il meglio.
Alle 22.00 circa squilla il cellulare, è (L), organizzatrice generale, che propone a (C) un rimborso spese/viaggio/extra di 500 €.

(C) accetta, e si tranquillizza.
E sbaglia.


Il giorno 16 febbraio 2012, è mattina e (C) si reca nella sede della società a Roma, ed in presenza di un gran numero di personale della produzione, (C) consegna fattura più hard disk con tutto il materiale (riprese e montaggio), firma una liberatoria riguardo il materiale (non controfirmata dall'azienda) ricevendo una ricevuta di bonifico online di Intesa Sanpaolo di 2500 € , direttamente dalle mani dell'organizzatrice generale, l'ormai storica (L).
Tornato a Lecce, il primo passo è presso la banca Intesa SanPaolo per verificare l'avvenuto accredito, ma presentando la ricevuta consegnatagli da (L) , la realtà viene fuori, la filiale in questione è inesistente, il numero di transazione online falso, ed il numero di conto corrente aziendale non corrispondente con il reale, insomma, un documento falsificato ad arte, roba da Photoshop.
Ora, tutta questa storia è chiaro che non si potrà mai dimostrare legalmente, perché
suddetta ricevuta non è firmata da nessun componente della società.

Ma (C) telefona (L) e chiede spiegazioni riguardo quella ricevuta consegnatagli, (L) risponde che non ne sa niente, che “quelle son ricevute che si auto-generano quando fai un bonifico online”.
E NULLA PIU’.
(C) però ha registrato la telefonata.

Dopo il danno, arriva anche la beffa, (C) è fregato, ma la società gli invia un telegramma pretendendo tutto il materiale del backstage ! Che gli è già stato consegnato. (!)
Mossa strana, roba da avvocati questa. Così (C) risponde, sempre via telegramma di aver già consegnato il materiale personalmente a Roma, in presenza di testimoni autorevoli, quali il montatore della fiction stessa, e di essere pronto a riconsegnare nuova copia purchè dietro reale pagamento del compenso pattuito.
Poi il nulla.
Il legale di (C) contatta il legale del Dottor (S) ma dopo una prima telefonata anche questo sparisce nel nulla, non risponde alle mail né al telefono.
In seguito C. viene a conoscenza che anche (MH) la segretaria, ha abbandonato la nave di truffa perché non sopportava più l'idea di raggirare la gente e in questo caso (C).

A Maggio nasce il secondo figlio, ed ancora oggi (C) insegue il suo compenso, fra avvocati e sindacalisti.

“Ora io mi trovo con un foglio che è carta straccia, non ho una sola firma d'azienda che confermi gli accordi presi, dopo aver consegnato il lavoro senza essere stato pagato e con una copia di tutto il materiale sul mio computer. (Tutto il materiale girato, fotografie sul set, progetto di montaggio in varie fasi di elaborazione)”. E continua: “ Sono avvilito, schifato, depresso, incazzato”.

Doveroso da parte nostra inserire per esteso l'ultimo significativo sfogo di (C) per far luce su questioni che inesorabilmente non hanno né la prima né l'ultima vittima da illudere.

lunedì 5 novembre 2012

In cerca del popolo leccese

Cerco il popolo leccese e mi accorgo che non c'è. Si maschera, fa finta d'essere altro. Lo fa da così tanto tempo che s'è dimenticato d'essere popolo con un sua dignità di popolo.
Dove lo posso andare a sentire? A contattare?
Nei racconti di mia madre il popolo c'era. Tenuto nelle mura della citta, nel chiasso dei ragazzi per strada. Il nonno, suo padre, lavorava al mulino. Era dalle parte del Parlangeli d'adesso.
Era campagna lì, tutta campagna fino a perdersi...
E campagna era tutt'intorno alla città e tutt’intorno ai buchi della cave, che certo popolo ne hanno accolto nei tempi remoti del farsi della città barocca... E i cantieri degli scalpellini? Da chi erano abitati? Dov’è quella storia? Dove sono quelle storie?
C'è una foto - la ricordo chiusa in un lungo rettangolo - in una panoramica mostrava quello che adesso è il Viale degli Studenti. Si vede una sterrata segnata dai pini, da una parte la città dall'altra campagna, campagna a perdersi... ancora campagna.
Qualche domenica fa passeggiando, ho visitato il Parco di Belloluogo, e... quella che era la campagna d'un tempo m'è apparsa... L'ho intravista, ho potuto immaginare com'era la campagna degli orti.
Questo lasciano presagire gli impianti di irrigazione che scorgi, il sistema dei pozzi e delle vasche di raccolta... Ho immaginato un antenato tante volte narrato a noi bambini, "facìa lu sciardenieri", faceva il giardiniere, teneva un orto in fondo alla via per Taranto, e lì lo ammazzarono per questioni di verdure...
Cerco, e ancora un ricordo viene, il mercato del lunedì in Piazza Sant'Oronzo nell’“antico” Novecento era agricolo, di semenze e di mano d'opera, c'erano braccianti in cerca di lavoro allora, era popolo quello... Poi c'erano le fabbriche. Quelle del tabacco - lì il popolo era di donne e quante... se guardiamo ancora adesso abitano la città quelle fabbriche, in abbandono se non trasformate in qualcos'altro, come quella di là dal ponte di San Cesario che ospita un ristorante... Cose/case di popolo, l’illustre assente di questi giorni... Da tanti giorni...
Quel popolo vorrei rintracciare.
E per far questo, faccio appello ai lettori, agli affezionati di queste pagine.
A loro mi rivolgo per cucire storie, quante più possibile, storie di uomini e di donne e storie di lavoro.
Cose di prima... Prima che la città terziaria fagocitasse ogni esperienza cancellando la memoria di quella che una volta si chiamava Stalingrado... Dell’assalto alla Prefettura, del processo fascista ai comunisti leccesi... e di chissà quant’altro...

sabato 27 ottobre 2012

Esecuzioni - Duo d'assoli


Due nell'acquario del Novecento
Mauro Marino

Il danzerino e la danzerina, nell'acquario del Novecento, corrono, s'inseguono, si sfiorano, fanno clamori, pianto, offrono il proprio corpo: "Tho! Tho!, Tho!", ogni tanto dicono. Prendi, prendete, son pezzi di corpo e il corpo quasi mai corre sul filo della logica, sempre sfugge, rompe, smargina.... Astrae. Mai si guardano il danzerino e la danzerina, pesci nel liquido amniotico della memoria: sanno, confondono il sapere, la conoscenza assorbita, vissuta. Ciò che sono.
Il Novecento, di quella carne loro sono. Ce lo dicono gli abiti che indossano, il lampadario che illumina, certi gesti, le malinconie soffuse, l'eco dei maestri, la lite che il pesce femmina accenna in apertura, il piccolo chiasso, le smorfie, i comandi per segnare i gesti... Il Novecento lo trovi, lo senti, lo vedi nella trama musicale dello spettacolo che, ad un ordito "sinfonico" (Arvo Pärt?), infila rumori di biccheri, di cavalli, di variazioni festaiole marchiate dalla fisarmonica, di pioggia sul finale, quasi a siglare l'irrimediabilità di un Epoca che nel suo umido muore... Corpi iconici quello del danzerino e della danzerina, pesci in un acquario dove il Tempo "conta", l'esercizio che se ne fa, conta, a fare l'Età, l'esperienza, il bisogno della dis-armonia lasciando che la nostalgia sia porto, partenza e approdo di narrazioni, di frame da donare, semplicemente donare a chi è di là dal "vetro"-sipario, nella vita!

(Su "Esecuzioni. Duo d'assoli" – di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, Open dance – Cantieri Teatrali Koreja 26 ottobre 2012)

sabato 20 ottobre 2012

Kalimeriti

Sapete com'è Calimera? Una capitale! Così l'ho sempre percepita. Sarà per il nome che ha eco greca nel suo suonare... il buon giorno ad un intero territorio che abbiamo imparato a conoscere, specie in questi ultimi venti anni, come orgoglioso e capace di produrre una sua forte connotazione culturale; sarà per la natura propria dei suoi cittadini che, quell'orgoglio, quella particolarità, la interpretano quotidianamente con creatività e passione.
Il mito della Grecìa (quella con la “i” accentata) è nato (ri-nato) lì, a Calimera, intorno ad una pietra... già una pietra... La Stele, quella che da Atene giunse in dono a celebrare e a rendere indissolubile un legame che già aveva radici profonde.
Ad irrorarle quelle origini, a dare linfa ad un'energia sempre tesa nella "nostalgia", nella mancanza, nel desiderio del “tornare”.
Questione greca insomma... quella dell’erranza, del sentirsi nel mondo mediterraneo (nel Mondo) interpreti ed ospiti. In viaggio, insomma, pur avendo forte la casa... l’appartenenza!
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Leggiamo: "La Stele, opera del IV sec. a.C., è stata generosamente donata da Atene a Calimera nel 1960. (Nel 1957, l'allora Sindaco di Calimera, Giannino Aprile, aveva indirizzato al Sindaco di Atene una lettera chiedendo un avanzo architettonico o, almeno, un sasso dell'Acropoli come simbolo della comune origine e di un'ideale continuità di rapporti).
E' di puro marmo attico e proviene dal Museo Nazionale di Atene. Reca incise le parole Patroclia di Proclide da Atmon, località presso Marussi, nei sobborghi di Atene, dove venne rinvenuta.
La Stele, di fattura perfetta, con un bassorilievo rappresentante il Saluto di Patroclia, è sormontata da una palmetta ed è ornata di fiori simboleggianti la serenità rassegnata della morte.
E' uno dei migliori esemplari di monumenti funebri conosciuti: per la sua perfetta armonia incanta chi la guarda anche se il bassorilievo centrale è un po’ corroso dal tempo e il fusto, rotto trasversalmente, è saldato.
E' sistemata nei Giardini Pubblici in una edicola in pietra viva di Soleto".
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Ecco, quella, la Stele, "La Pietra della Memoria" sarà al centro di una riflessione, promossa dal gruppo che si incontra intorno al profilo Facebook "Kalimeriti", l'appuntamento, il prossimo martedì 30 ottobre, alle 19.30, al Nuovo Cinema Elio.
Parteciperanno lo scrittore Rocco Aprile, lo scultore Alfredo Calabrese, Renato Colaci del gruppo “Kalimeriti”, l'operatore culturale Luigi Garrisi, l'esperta di restauro Sofia Giammaruco, l'attore e ricercatore Brizio Montinaro, l'archeologa del Museo Provinciale  Annalucia Tempesta, l'assessore alla cultura di Calimera Leo Palumbo e Luigino Sergio presidente dell'Unione dei comuni della Grecìa Salentina
Nella serata la musica e le voci di: Ghetonia, Malagapi, Raffaella Aprile, Antonio Castrignanò, Ninfa Giannuzzi, Emanuele Licci, Andrea Tommasi.
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 L’idea è quella di un restauro della Stele, di un ragionamento intorno ad essa, intessendo testimonianze, ricordi, proposte... Una serata da non perdere, conoscendoli quei kalimeriti certo offriranno sorprese...

sabato 13 ottobre 2012

Radioflo con Post Office

C’è, nell’ascolto, la con-fusione dei sensi. Nell’abbandono, la sensualità del capire, del capirsi attraverso l’opera dell’altro che viene in dono nella forma che il miracolo creativo ha scelto.
Tu, l’opera e il tempo... Una singolarità...
Poi, ci sono i mediatori, i sensibili, capaci di farsi traduttori del loro sentire, di fare opera con l’opera degli altri. Un gioco di rimandi che cresce quel valore che tutti chiamiamo cultura, “succo”,  essenza...
Di due sensibili-mediatori voglio raccontare... di due illuminati e degli alleati che si son scelti per far opera di divulgazione delle loro passioni culturali e dello stile che le traduce...
I libri, la scrittura, gli autori  hanno un nuovo luogo: una casa, una scansia, un angolo dove poter scegliere di aprire pagine per far dono di senso, di emozioni, di significazioni. Una casa che entra nelle case... on line più che on air com’era per le ormai vecchie radio... ecco l’indirizzo: http:// www.radioflo.it/. Nel ricco palinsesto una nuova trasmissione, un programma che sperimenta con e intorno ai libri. si chiama “Post Office. Quando la Letteratura incontra ed intreccia sogni, ossessioni, riflessioni, attualità. Narrazioni, descrizioni, argomentazioni diluite e miscelate a suoni, rumori e note si diffonderanno dal pc per stuzzicare l'immaginazione, offrendo un'insolita compagnia”. Va in onda ogni mercoledì alle 20.00, in replica il lunedì alle 13 e la domenica alle 12.
La magia la tenta e la conduce  Ilaria Pellegrino. La pozione che propone   mischia il romanzo con la vita: “Vorrei che ognuno trovasse un po' di se stesso in ogni racconto. Finita la trasmissione vorrei che dicessero "spengo tutto e vado in libreria!". Non parlerò solo di grandi autori, ma proverò a creare una rete anche con gli autori locali”. La prima l’ha dedicata al “brivido”  Bukowski, per rendere omaggio al libro che da il titolo al programma.
Con i libri, la musica. Quella, la cura Antonio Rosato, meglio conosciuto come Kumaro Gogollo, dj con esperienze berlinesi. “Lui è veramente bravo, - dice Ilaria Pellegrino -  sempre in cerca della musica giusta pescando nell’underground, nell’elettronica nel "pop d'autore". Vorremmo fare così, rendere la "sua" musica e il mio "raccontare" interdipendenti,  un unico fiume, un flusso emozionale, dove trovare rifugio, per lasciare l’ordinario e rilassarsi, per un paio d'ore”.
Rilassarsi... Ottima proposta! A che dovrebbe servire, se no, la cultura, quella delle sospensioni, quella densa di senso, quella che ti porta nell’immaginare avanti e indietro nelle malìe della conoscenza? A lasciare il Mondo; il suo travaglio, che solo nelle faciture dell’arte trova costrutto, forma, ordine... Altre alchimie di Ilaria Pellegrino le tenta in rete con la scrittura de Il Gazzettino dell'Assurdo su Blogspot... Ma di questo parleremo un’altra volta...

venerdì 5 ottobre 2012

Daniela Liviello - Beatitudine dello scorrere

Viene da lontano la musica. Si confonde con il tempo: le ansie, i palpiti, il battere del cuore fanno la partituta, giocano le note, scrivono probabili melodie nel "ma" che inciampa...
Muove, continuamente muove la musica. Le parole fanno appiglio. Scavo lento alla pietra. La segnano ricordadogli quanto è lontana la prima volta... Daniela Liviello è di questa materia, parte di questo scavo. Le parole che usa dettano un modo, il modo, di stare al mondo facendosi acqua. Somigliandole noi , che siamo condannati allo stare. Al fermo di un corpo che il fluire lo impara sfidando il Tempo, con i travagli delle Età.
C'è tutto il Salento tenuto, in trentasette pagine nelle sue "Litanie d'acqua", raccolta di versi edita da Lieto Colle. Non il Salento del continuo onomastico della propaganda. No, non quello che vogliono farci credere esistere, il suo è quello custodito nell'istantanea del desiderio che, nell'Antico, conferma la sua natura sfugente... come il carattere volubile che conosciamo, quello nostro, mai fermo... la sua unicità tessuta di segreti, la geografia più che la storia: i colori, i paesaggi, le cose delle pietre e quelle tenute sotto le pietre. Cose di magia: "Aprirà il petto" – questa poesia – per farci "navigare in fondo" ... "dove si appronta la fessura"... da dove muovere "ogni giorno qualche passo". Quel "qualche" è la chiave, mentre ci vogliono far correre, e quanto, ci vogliono far correre... che l'affanno fa freno... Miracolo di freno!
Ci porta nei luoghi della nascita Daniela Liviello, lì, dove si spera la notte. Chè nel giorno, si sta stretti come nell'evidenza del nome. "L'ordine antico" detta "lo stato delle cose" e quella prigione siamo costretti a sperare per ripararci dall'illusione del presente.
Lei (con noi) è dell'inquietudine: quella dei poeti sempre accompagna, "alla pari, serva del giorno"... "Per questo" -scrive Daniela Liviello – "cerco sostanza, materia sottile che passi attraverso la porta stretta dei giorni. Cerco il metallo oscuro della notte da tramutare in oro". Beatitudine del cercare, dello stare a guardare... e dello scrivere... Della poesia che è filtro della vita.

mercoledì 3 ottobre 2012

Da Ergot una serata per, con, su Syd Barrett

Quanto “andare”... la musica è liquida... Oppure no, è terra. O forse solo luce.
Mistero del suono che pesa come una mucca o rompe muri e si fa infinito di colore quando filtra dalle facce di un prisma... Quanto tempo “consumato” ad inseguirlo quel suono.
Quanto perdersi... quanto cercare...
La psichedelia è una condizione, (dura ancora adesso) uno stare che va oltre l’alleato, la sostanza che ti porta, che ti accompagna nella visione. La psichedelia è essenza della sensibilità: la materia fragile che solo chi è “capace” riesce a plasmare, a mutare in esperienza. Quante cose ci hanno insegnato i maestri.
Quante cose ci ha sussurrato la musica... Quante volte ha detto: “Attento! Attenti! Il limite è prossimo... Sii presente! Siate nell’allerta...”  Vivete! Questa è la psichedelia... vivere, essere nel lato storto e da lì scorgere l’intero. Essere capaci di interpretarlo di vederlo nel profondo... di accoglierlo rimanendo in silenzio. In e nella conoscenza... Dell’atto! Di quell’atto... di quel pensiero “irregolare”. (M.M.)
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Domani, venerdì 5 ottobre, alle 21.00, verrà presentata,negli spazi delle Officine Culturali Ergot, la traduzione italiana di Syd Barrett. Un pensiero irregolare, testo scritto da Rob Chapman e pubblicato da poche settimane da Stampa Alternativa.
Per l’occasione si incontreranno – in una chiacchierata informale sulla musica degli anni Sessanta e sul genio di Syd Barrett – Gianfranco Salvatore docente di “Storia e Metodologia Critica della Popular Music” dell’Università del Salento, e autore di “Pink Floyd-The Wall. Rock e multimedialità”; Gianpaolo Chiriacò autore della traduzione italiana di “Syd Barrett. Un pensiero irregolare” e della postfazione al testo; Cesare Liaci presidente della cooperativa Coolclub, musicista e storico appassionato del cantautore inglese. Modera Gabriele De Blasi giornalista di Radio Popolare e Radio Popolare Salento. Conclude la serata il chitarrista improvvisatore Alberto Piccinni,(Muzak, Complessino Vazca) che descriverà il modo in cui la sua musica è stata influenzata da Syd.

mercoledì 26 settembre 2012

Un disco bellissimo

Lo sento e lo risento, capita, quando ti affezioni e la musica riesce ad accompagnarti, ad essere suono mentre la giornata fa rumore... capita, un disco bellissimo!
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In verità, in questo nostro “Salento di musiche” capita spesso.
Son settimane che l’orecchio inciampa in ascolti, tutti meravigliosamente lieti: il Mesimèr di Admir Shkurtaj da solo al piano per Anima Mundi e i Risvegli di Irene Scardia, lavoro di albeggi suonati con Emanuele Coluccia e Luca Alemanno.
E’ capitato con Silvia Manco che con Dodicilune ci ha donato Casa Azul. La Casa dell’amata Frida Kalho, si chiamava così e, tutti i travagli di quella storia, quelle suggestioni, ti vengono incontro, rese jazz... scavando suoni latini che infilano virtuosismi con l’umiltà propria dei musicisti quando son tali al riparo dalle malìe dello spettacolo...
Ma il disco bellissimo di cui voglio dire è quello di Luca Colella: Storie dell’altra guancia il titolo dell’album confezionato, anche questo, da Dodicilune.
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E’ un teatro che si apre, un flusso narrativo che, infilandosi nella nuova vena autoriale che muove gli occhi in questa nostra “felice terra”, racconta un Salento inedito, nascosto o meglio, conservato, da una sensibilità accorta, capace di filtrare i sensi chiamandoli ad un allerta sempre significante dove la parola pesa e  non lascia indifferenti.
La voce di Luca Calella ha il peso e il riverbero “deandreiano”, ma l’arrangiamento sposta tutto in una mescla mediterranea cucita da musicisti che bene conoscono l’arte e bene hanno accolto la grazia:  Donatello Pisanello all’armonica, alla mandola e all’organetto. Ambrogio De Nicola alla chitarra classica ed  elettrica. Daniele Vitali al pianoforte, al synth e all’hammond. Angelo Urso al contrabbasso. Francesco Pellizzari alla batteria e percussioni. Rachele Andrioli cori e Pierpaolo Caputo alla viola da gamba.
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Suona di Sud questo disco, suona “le parole oscurate dalla luce del giorno”, quella luce che spensiera nonostante tutto. Nonostante la piaga sempre aperta della malinconia, che è generante, quì da noi, madre di poesia, oltre ogni finto entusiasmo...
Quella, la poesia, accompagna e fa brividi quando la “danza contadina” alza il controcanto... che vorresti non finisse mai.
Già, mai!..., la canzone a questo serve, a questa compagnia che apre occhi e animo e fa speranza... Quella certa, è nella rinascenza ormai stabilizzata di una scena musicale matura, capace, abitata. Tanto abitata che c’è da cercar permesso per potersi accomodare... Eppure “certi”, chiamati alla responsabilità dell’operare culturale, non se ne accorgono... O fanno finta? Sarà che non hanno orecchie capaci...
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Ma torniamo al disco... scrivono da Dodicilune: “Nei dieci brani del cd, Colella dilata con maestria gli istanti del vivere contadino, li pone in un’altalena di suggerimento e profezia che si rivela valida alternativa al ragliare delle classi alte.
In Porta d'Oriente, l’autore, cerca di coniugare le esigenze della parte buona della globalizzazione con la necessità di mantenere la propria identità antropologica; in Una danza contadina e  In un campo di granturco e ravanelli indaga il rapporto tra il mondo contadino, le tradizioni e l'ecologia. L'anno della locusta è un brano allegorico nel quale gli insetti che distruggono le coltivazioni assomigliano molto alle figure di potere, che cambiando posizione e bandiera politica mangiano tutto ciò che trovano. Valzer del Novecento è un omaggio ai fratelli Bernardo e Giuseppe Bertolucci; Retaggi è costruito su tre linee musicali che mettono insieme chitarra (padre emigrante), mandola (nenia funebre della madre), tastiera (il figlio); Il tragitto del monaco racconta le passioni amorose e poetiche di Fra’ Pantaleone, autore del mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto; Cornelia e il ladro, storia di una prostituta e di un ladro, è un omaggio a De Andrè”.
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E’ tutto, cos’altro se non buon ascolto!

martedì 18 settembre 2012

Risvegli di Irene Scardia

Ci accompagna in un “notturno” Irene Scardia, per dire tutte le possibilità del risveglio… dei “Risvegli”. La fragilità, materia e frutto dell’animo, è più esposta in quel tornare alla luce, con la testa impastata di sogni e di presagi… Quando il “non so” fa a gara con il “so” e, sul bilico, sei chiamato a scegliere. Ogni volta. Ad ogni risveglio… se sei nell’esercizio della sensibilità, delle interrogazioni, della vita insomma…
Non è la notte, la luna, le stelle, l’abbandono… che fa casa alla malinconia, alla mancanza che è motore di poesia? Già la poesia, quella la materia che troviamo dentro ogni “mattino” saperla impastare sta a noi… A chi è capace di con-fondere l’astrazione con il reale…  Quale magnifico pane! Questo di Irene è fatto di note. Quelle lei impasta con Emanuele Coluccia e Luca Alemanno. Un set essenziale per dar forma ad un’opera per ora solo on-line e che presto, finito il lievitare, avrà la forma di un Cd. Fili di narrazioni sono questi “Risvegli”. Giorni o intonazioni di giorni che - se sei allenato  all’attesa (ma anche solo se ti abbandoni all’ascolto) - ne vedi i colori, le andature ad ogni voltare di rigo… e stropicciandoti gli occhi t’appare intero con le sue possibilità, con l’armatura dello stato d’animo necessario per viverlo interamente giorno o episodio di un giorno. Momento o intero quotidiano.
Questa la musica a cui ci ha allento Irene Scardia sempre suggestionale, raccontativa… miscela dove le parole si trattengono nei suoni a far incantamento. Pausa. Ascolto, solo quello. Solo “Ascolto”. Virtù degli Attenti. Della presenza al Mondo…

domenica 26 agosto 2012

Notte della Taranta. Sanare o dimenticare?


Diario d'estate – La Notte della Taranta n°15

Mauro Marino


C'è un rito estivo che richiede una particolare ginnastica: preparare il polpo al piatto. La preda si sbatte sullo scoglio più e più volte; la durata dell'atto - che viene compiuto con particolare ostentazione per far invidia all'intorno - determina la morbidezza del cucinato. Il polipo perde la sua tensione, s'arrende ed è fatta: gnam, gnam, gnam... C’è chi lo mangia crudo con i piedi a mollo felice di mostrarsi selvaggio al cospetto del visitatore. Così è il Salento.

In quest'estate ho sofferto dell'acuirsi del male della complessità, ogni “cosa” l'attacco all'altra e m'è difficile discernere, distinguere... Sarà per il fatto dell'Ilva che "dicono" influisca perfino sulle cozze in mare... Sarà l'amara contingenza nazionale che allena gli occhi al listino d'ogni cosa... Insomma, il rammarico, invade e non ho occhi e orecchie libere per far l'ascolto al riparo...

Melpignano sabato 25 agosto, 15° concertone del Festival della Notte della Taranta. Maestro concertatore Goran Bregovic da Sarajevo.

All'arrivo m'accoglie la squillante voce tutta di testa di Vituccio, Vito Nigro, l’uomo delle capre. Vitucc’ de Carcagne, il “padrone di Villa Castelli”. C'è ancora luce in cielo l'ultima del tramonto e guardiamo in alto a scorgere la grande mole di Giandomenico Caramia che lì abita dallo scorso dicembre... Si fa buio e i suoni continuano, sommano a strati emozioni ma... Mi sento distante. Sensazione nuova. Mai provata in questi lunghi anni di militanza e di attaccamento all'evento degli eventi. Che accade?!
Nella conferenza stampa di venerdì le prime avvisaglie: la sensazione di un sentimento di estraneità...
La cultura della campagna s'è fatta spettacolo, s'è data una regolata. Una scatola formale. Amara cosa constatarlo, non c'è freschezza. Entusiasmo. Ogni cosa si ripete in un rituale che, battuto e ribattuto sullo scoglio, s'arrende...
La “campagna” adesso è sul palco, Vituccio ha citato le sue capre. La sua libertà.
Ma, la campagna di qui, oggi, non è più campagna, volta com'è alle coltivazioni delle energie "rinnovabili" e al dover far strade. Cose che sappiamo...
Ma perchè quel popolo che per primo dovrebbe levarsi a difesa della terra tace? Perchè anzi, con larga maggioranza, dice sì allo stupro?

I "morsi” tornano e la taranta cambia livrea. Prima era la carne e il “sentimento” la preda, adesso è la terra. L’ambaradan della pizzica pizzica, col suo tornare, a far da contorno: a sanare o a far dimenticanza?
La domanda mi ossessiona...

Melpignano è  stata ed è la “cucina” del “passaggio”. Si viene qui per “dimenticare” per una sera lo scempio e lo sconforto che ci prende se guardiamo ciò che accade.
La musica, il veicolo di una compensazione tra ciò che si perde (l’ultima integrità territoriale) e ciò che si conquista (l’evidenza “culturale” di oggi) con la Fondazione ben agganciata ai puntelli “nazionali” (e qui una domanda impertinente viene spontanea ma quella della Taranta è depandance degli Italiani Europei? Bha! Così pare ai malevoli che non capiscono il perchè delle passerelle estive di Massimo D’Alema sul tappeto degli Agostiniani) che trova la celebrazione dell’Accademia e della rete Tre di Radio Rai - luogo-spazio di massima elezione intellettuale in Italia -  che per due giorni si è interrogata sul senso della festa e dei festival.

Insomma giriamola a pizzica pizzica è il prezzo da pagare... Tutti contenti, ballati! ballati! Dimenticate. Non ci sono parole politiche qui, solo suggestioni retoriche come quelle ascoltate in conferenza stampa. Solo intendimenti, quelli di sempre, ma del Salento delle sue urgenze ed emergenze niente. Stop! Dimenticate, giriamola a pizzica pizzica.

La festa smetta se non c’è coscienza. Che la festa sia utile. Così penso...
Questa terra è piegata, possibile che non se ne accorgano? Una terra che spreca, si spreca. Non c’è attaccamento e la tradizione più che salvataggio-salvagente per tenersi a galla nella "mancanza" e come polpo battuto sullo scoglio... Battuta e ribattuta per farsi tenera... commestibile...
Non c’è cultura contadina a dettare la regola, quella, la regola è a cura dell’aristocrazia (più o meno riciclata) la stessa del latifondo che fece braccianti i salentini, quelli stessi che oggi si spendono col lavoro di braccia e voce sul grande palco...  L’amaro lavoro vuole sempre riverenze... si è piegati e mai proprietari... Questo scontiamo nella ferita. Non serve gridare da un palco se poi c’è la rassegnazione di una terra che rischia di perdersi così come la musica, la nostra, che sembra, di edizione in edizione, smarrire la sua originalità nell’eccesso. Presa qui, oggi, ad inseguire gli eccessi degli ottoni che volano senza alcuna geometria compositiva, concertativa.

La Banda di Racale rimedia, “all’attacco”, con un classico del repertorio di Goran Bregovic: “kalasnijikov kalasnijkov"... Una cascata di suoni, “uniforma” nella verticale la scena e fa sangue nell’op op op di una tradizione, quella d’oltre adriatico che, con la musica, ha de-cantato il Potere e il subire, donandosi al mondo. Un bum bum bum che sarebbe forse utile a far “saltare” la finta cabala (Mimmo Paladino dopo Novoli lo vediamo pure a Melpignano... Bha!!!) esposta a sfondo di
un palco rimasto, fino alla repentina fine del concerto, enigmatico nella sua intima finalità.

Nervoso e teso nonostante lo sbattimento che questa volta ha rischiati di rompere lo scoglio!

sabato 25 agosto 2012

La lettera aperta di 11/8 ai "patron" della Notte della Taranta

...e se la Notte della Taranta e Puglia Sounds fossero un'utopia?

Per essere coerenti con il commento che più ci viene rivolto e dedicato: l' «11/8 Records è sempre quella che ha qualcosa da contestare» oggi, con questa lettera aperta, vogliamo raccontare il nostro disagio ma anche ripercorrere le tappe del nostro "sogno": una storia nata da un infaticabile e mai esausto spirito di autonomia esperessiva ed imprenditoriale che ha dato vita a decine di produzioni discografiche - molte riguardano artisti emergenti salentini - caratterizzate tutte da una qualità e da una visione "avanguardistica" senza dimenticare lo stretto legame con la tradizione e la realtà musicale locale: il mondo bandistico, quello popolare e quello folk.

Una lettera aperta per esprimere pubblicamente le ragioni del rifiuto a quello che riteniamo un pessimo invito e per spiegare il perché di alcune scelte artistiche a chi ci riconosce un ruolo importante sia dal punto di vista simbolico che dal punto di vista artistico e  professionale.
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I "progetti speciali" sono stati quelli che più hanno ispirato le realtà musicali locali nel fare incontro e scambio, un fatto di cui essere orgogliosi, ma, capita che, in questo Salento, gli "operatori culturali", i "direttori artistici" e i "critici" non abbiano memoria, ecco allora, a loro uso, un breve riepilogo della nostra attività...

E' del 1992 il primo embrione del progetto "GirodiBanda" dedicato alla rivalutazione delle bande tradizionali pugliesi, uno spettacolo che riesce oggi a riempire di entusiasmo ed energia le piazze dov'è invitato, impegnando in tour internazionali l'ensemble degli esecutori.

Abbiamo sempre rivolto - nei nostri operosi venti anni di storia e di storie - un'attenzione particolare alla cultura dell'accoglienza sin dalle prime esperienze nella casa/laboratorio "Albania Hotel" (prima vera residenza artistica creata nel Salento). Lì, in quella che era la sua casa, Cesare, attento ascoltatore di Radio Tirana, s'è fatto ospite di artisti di ogni nazionalità ed estrazione sociale, creando un alternativa ai cosiddetti "Centri di Accoglienza", uno dei pochi bacini di respiro culturale degli anni Novanta. Un luogo di creatività animato da innumerevoli occasioni di lavoro comune dove la ricerca sonora e le diverse tradizioni si sono incontrate... Del 1996 è il progetto Opa Cupa, che ha visto mischiarsi, nel “Balkan Jazz”, una visione musicale di concezione bandistica con la sensibilità propria del jazz progressive ispirandosi e rendendo omaggio alla sponda Balcanica dell'Adriatico.

Un'esperienza continuata con il "Festival Livello Undiciottavi" che, in un tendone da circo piazzato (a proprie spese) nelle periferie degradate della città Lecce, ha dato luogo alla necessità di una diversa educazione alla cultura e alla collaborazione promuovendo l'interazione e il pieno coinvolgimento delle realtà locali.

Più recente la creazione del "Laboratorio Urbano Livello Undiciottavi" che, a dispetto della "stasi" di alcune realtà istituzionali locali, che ne rallentano e spesso impediscono il normale funzionamento, è riuscito a diventare uno degli spazi più ambìti dalle produzioni musicali e artistiche in Italia, Caparezza lo sceglie come quartier generale per l'allestimento dei suoi lavori...

Del 2003 è la prima produzione discografica di “Tarantavirus”. Lavoro che rivisita la musica tradizionale salentina in chiave elettronica. Sette le edizioni, per un totale di tre produzioni discografiche.

Il lavoro di 11/8 Records ha inoltre visto la creazione di colonne sonore per Play Station, Filmografia Giapponese (Miazaky – Castello Errante, Gundam il Guerriero...), Toyota, Gatorade, Gazzetta del Mezzogiorno, Fiorucci, ecc...
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Strana terra il Salento, la Puglia, che ha potuto e può vantare come suoi, i migliori nomi della cultura internazionale ma non fa nulla per accoglierli per rendegli agio, molti di loro sono costretti ad andar via per essere poi "accolti" e "rivendicati" dopo esser morti.
Un ragionamento il nostro che non vuole essere un semplice atto di auto-celebrazione, ma una esposizione di fatti veri e reali per comunicare la nostra delusione rispetto al mancato riconoscimento artistico professionale che sentiamo in questi giorni di subire.

Con rammarico sentiamo di dover rifiutare l'invito rivolto a Cesare Dell'Anna, dal Festival “La Notte della Taranta” che, dopo un mese di “tira e molla”, decide di "convocarlo" in qualità di ospite (???). La proposta - a "riconoscimento" della sua arte e della sua professionalità – è di eseguire quattro (!!!) battute di “intro” su un pezzo di repertorio sul palco del concertone finale a Melpignano, diretto e curato dal Maestro Goran Bregović,  che avrà la durata di tre ore. Scappa da ridere! Tutto questo ci sembra abbia il sapore di una provocazione, alla quale  rispondiamo: “No, grazie!”. Meglio rinunciare ad un'"invito" che non riconosce il valore e la storia sinora seminata e che addirittura potrebbe danneggiala.
Un grato riconoscimento lo dedichiamo comunque a Sergio Blasi che sempre ha espresso la stima e la fiducia nella presenza professionale di Cesare.

A voler disdegnare in questa sede le varie produzioni nate nel corso degli anni all'interno del circuito del Festival e che, a nostro avviso, avrebbero potuto portare alla realizzazione di rapporti professionali più costruttivi e collaborativi.
A volersi stupire poi sulle grandi realtà pugliesi che fanno girare i denari nella nostra “magica Puglia”, non vogliamo dimenticare di chiedere pubblicamente, come si fa ad entrare nelle grazie di quella ristrettissima moltitudine di direttori artistici, facenti riferimento al famoso Ente Culturale (Puglia Sounds), per poter comprendere in base a che tipo di curriculum viene considerato un gruppo “rappresentativo della Puglia”, a discapito di altri, che mai vengono presi in considerazione e che spesso presentano la caratteristica indiscutibile di “rappresentatività”.
Per poter comprendere che forse curriculum, esperienza professionale e risposte del pubblico non sono sufficienti a farti candidare ad entrare nelle compilation in distribuzione con le più famose testate specializzate, essere presenti sui palchi del 1° maggio, Auditorium della musica vari, fiere e festival nazionali ed internazionali, tournèe all'estero organizzate ad hoc, tutto a chiamata diretta ...

La risposta che riusciamo a darci è una sola e già sentita: la libertà non ha prezzo!

11/8 Records
Marinella Mazzotta, Cesare Dell'Anna, Marco Marenaci

mercoledì 22 agosto 2012

Diario d'Estate - Gallipoli e il Parco Gondar

Maurizio mi chiama, l’invito è ormai una consuetudine ed eccomi a Gallipoli. Il dottore mi accoglie nella sua residenza: un alveare condominiale provvisto di piscina zeppo di giovani. Un continuo va e vieni di troller di settimana in settimana. Così è la “Città Bella” in Agosto, approdo di frotte che, se senti il parlare, “suona” la penisola intera. Confabulano in cricche milanesi, napoletani, marchigiani, baresi… il Gondar è il richiamo e i lidi, con gli happy hours a buon mercato propagandati da giovanissime in bikini che vedi danzare su di un cubo luminoso. Le feste al tramonto e quelle notturne che aspettano l’alba consumando alcol e tant'altro… Un popolo intero di giovani italiani che ritrovi al mattino “impegnato” a smaltire le varie sbornie: ammaccato, stordito e certo inappagato. Almeno così pare…
Marta mi dice, alla soglia dei vent’anni, che è tesa a recuperare il “non compiuto” nei suoi diciotto, solo così potrà pensare d’aver risolto i suoi “debiti” con l’adolescenza. Una sfida che tutti, su questo lungo mare dominato dal rumore, penso abbiano in sospeso, presi come sono da un vagare senza meta. Anzi no, una meta c’è: il dovere di consumare e in questo di consumarsi.
Non c’è festa, ecco l’assente. Non c’è festa quando a far la regola è lo spettacolo, la rappresentazione che è pretesto d’altro…  Il look questa volta non c'entra. Sarà l'estate, il gran caldo? Il vestire è essenzializzato in braghe e magliettine di poco conto per i maschietti e in piccoli colpi di ricercatezza nelle “maschiette”, di femminile si vede poco, quando il mandato è lo “scalmanarsi”. Non serve alcuno charme, alcuna delicatezza, alcuno stile.
A far da cornice è l’aspetto metropolitano di Gallipoli, al cospetto del mare si alzano palazzi uno di fianco all'altro, fitti, in una stretta tessitura di strade dove vedi il “controllo” e il suo “opposto”: la gestione tutta in allerta dello spaccio e la dimenticanza del decoro urbano che espone spazzatura offrendo nauseabondi odori di fogna. Non c'è un vigile urbano, ne una macchina di pubblica sicurezza. Tutto è confuso, incustodito... lasciato all'emergenza...
“Dura un mese. Un mese soltanto” dice rassegnato uno, in fila, in attesa della sua granita di limone all’Ape (industriale) di Silvio. Un euro di sollievo e di genuinità in uno “stampo” rituale consunto, ripetitivo che a sera incolonna auto e vite in scatola. Non c’è anima, originalità, occasione. Almeno, così pare…
Il “programma” del Gondar fonde e confonde, uno spettacolificio che trita e frulla generi per una macedonia estremamente popular. Nulla a che vedere con la “mossa” di Ibiza o della più vicina costa romagnola dove la varietà era (è?) tutta inscritta nella linea dei clubs che, differenziandosi, dettavano stili e tendenze. Altri tempi, altri luoghi, altra organizzazione.
Qui, lo “sfondo”, il “rumore”, è dato dalla sagra dei pescatori che per “contorno” offrono una sgraziata pizzica che piange un orfananza senza rimedio.

martedì 21 agosto 2012

Diario d'estate - Bande a Sud, una scena al riparo dallo spettacolo


Solo musica, solo quella per leggere un’estate che ha avuto caldi intensi, con nomi importanti, questione di spettacolo e anche la meteorologia si adegua e si destina. Ah!, quello, lo spettacolo e quell’altra, la scena… C’è differenza. Diversa sostanza.
Di scena ne ho amata una “particolare” nei primi giorni di agosto, “anarchica” in una delle tante sere di “Bande a Sud”, neonato festival diretto dal maestro Gioacchino Palma. Un’overture bandistica tutta affidata alla gioia dei musicisti, al loro fare totale, nel  rompere le righe della parata ma anche quelle degli spartiti nel compiersi dell’incontro. Così hanno fatto il 6 di agosto quelli di AlBandoLaBanda, della Banda Roncati, della Filarmonica del Capo di Leuca, di Les Troublamours, di Los Adoquines de Spartaco e dello Scognamillo. Un’addizione di suoni che ha attraversato il paese per dare l’ “assalto” alla cassarmonica, la casa dei suoni della festa. Ed è stata festa vera. Con-fusione, per dire ed esaltare la tradizione, anzi le tradizioni della musica: il suo essere plurale. Non c’era spettacolo in quell’accadere, nessun ostentare, nessuna formalizzazione, nessuna separazione dal pubblico. Solo gioco. Solo quello, nelle corse dei musicisti nella piazza in gara con quelle dei bambini che ai piedi della scatola di luce chiedevano versi alla poeta-paesologa Maira Marzioni.
Un festival, quello di Trepuzzi pensato all’insegna degli attraversamenti sonori (e non solo quelli) per riflettere e approfondire il valore storico e culturale della banda partendo con l'opera - il 5 di agosto, Le Nozze di Figaro - repertorio e sfondo "colto" del fare banda  e omaggiando la forza degli ottoni e delle percussioni con il concerto “Da Bach a Piazzolla”. Due produzioni dell’Orchestra Sinfonica Tito Schipa che con il Conservatorio di Lecce è stata fattiva partner artistica dell’evento.
Gli attraversamenti sonori hanno ispirato poi i dj set (straordinario quello che ha visto alla consolle Tobia Lamare per il “San Lorenzo Bandistico” a Casalabate), i tanti concerti, le visioni filmate e le mostre d’immagini sino al culmine dell’“astrazione” negli ascolti proposti con “Bande critiche” concerto di musica elettronica che ha ospitato nella Chiesa di Cerrate l’acusmonium di Franco Degrassi.
Una ricerca culminata, nella serata di chiusura, il 16 agosto, con il concerto di Cesare Dell’Anna, trombettista figlio della banda e generoso “maestro” di concertazioni che cuciono il più raffinato jazz progressivo con gli umori della musica tradizionale, qualsiasi essa sia.
Esaltante,  nel suo motteggiare un “Viva la libertà” e  un significativo: “Come sapete noi facciamo musica popolare” dando l’attacco ad una splendida versione della coltreniana “My favorite things”. Come a sottolineare il “da dove veniamo” di una formazione, gli Opa Cupa, che dimostra d’essere crew di grandi talenti.
***
Questa prima edizione di Bande a Sud, preceduta da un prologo nella scorsa primavera mostra d’essere esperienza ed opportunità su cui investire: la tradizione bandistica, la riflessione sugli spazi, la ricerca iconografica e testimoniale sono ingredienti e parti di un lavoro che lasciano sperare in un’ “attrezzatura” teorica che certo può confermarsi nella sua dimensione di “accadimento” fuori dallo spettacolo e dalla spettacolarizzazione puntando a servire il desiderio di convivialità e di scambio che la comunità chiede. Come quello pieno di gusto offerto dalle rosticcerie che abitano tutt’intorno la piazza di Trepuzzi. Altra risorsa e particolarità su cui riflettere pensando una festa all’insegna delle risorse e della piena sostenibilità che meglio si sperimenta nella reciproca valorizzazione.

mercoledì 1 agosto 2012

Fiato all'essenzialità

E' tempo di festival. Tanti quelli  "consumati" nella prima parentesi d'estate... ma agosto è la scena! Bentornato al Locomotive che certo è la rivelazione indipendente di un Salento sempre più laboratorio di un fare musicale denso di autorialità. Quest'anno si racconta che la creatura di Raffaele Casarano è stata sul bilico del non. Molti altri su quel bilico hanno fatto rinuncia. Certo, la crisi dovrebbe allenare tutti alla sobrietà, a dare forma più austera ai palinsesti... un arte quella da filtrare con l'essenzialità. Domenica sera in una trafficatissima Gallipoli a riparo nel Chiostro dei Domenicani quella, l'essenzialità, l'ho trovata, proposta da Alessandro Urso, compositore, etnomusicologo e Gestalt counsellor. Portava in scena un Alice nel Paese delle meraviglie, libretto scritto da Lidia Fusaro e recitato da Helèna Stefanelli ad accompagnare i giovani fiati "col desiderio di sperimentare" della locale filarmonica. Una delizia cercare nelle pieghe, al riparo dai clamori... Provateci! Cercate...

martedì 31 luglio 2012

Delle volte il tempo

Domani nelle campagne di Martano sono invitato alla lettura di un libro di rara intensità e dannazione. Delle volte il vento, il titolo, Kurumuny lo riporta ai lettori, dopo una prima edizione da Vallecchi  nel 1996. All'epoca era quasi un istant book. Da poco infatti le nostre coste erano state approdo delle fughe albanesi e Milena Magnani, da “straniera” (lei è bolognese – ma sempre il sociologo è straniero) si cala in panni salentini e guarda. Si mette in ascolto e scrive una storia che è un mistero... Uno spiaggiamento, più che un approdo, un arrivo che non vuol esser tale logorato dall'indeterminato di una nostalgia che non sa cosa sperare... In passato Lume (la protagonista del romanzo) aveva sperato  poi, la ferita, la prigione e un interrogativo rimasto aperto: “Il comunismo, cos’è? Cos’era?”. Noi stregati come Carmela (l’altra del romanzo) siamo con Lume... a chiederci se abbiamo mai cercato, osato, sperato...

mercoledì 25 luglio 2012

Admir Shkurtaj - Il riformatore albanese




La prima volta che l'ho visto su un palco fu molti anni fa, primi anni Novanta, quando i Ghetonìa di Roberto Licci e Salvatore Cotardo avviarono la "rivoluzione"... Admir Shkurtaj era da poco giunto in Italia, in Puglia, con la prima Albania che tornava ad abitare nel Salento approfittando e favorendo i capovolgimenti del Mondo. Pochi ricordano, presi a far "storia" con gli scampoli delle cronache, ma molte cose iniziarono, anzi ri-iniziarono, con la testardagine dei "calimeresi" che, presi dal desiderio greco dell'andare avanti rimanendo affezionati al sè (che non è sempre e solo la Radice) da buoni esecutori e ascoltatori di suoni si misero a far sintesi, ed ecco, che vennero le prime innovazioni sulla scena della musica popolare di casa nostra: un albanese attrezzato di fisarmonica e una donna messa in front-line (magari con giubottino di pelle rossa, era Emilia Ottaviano) non a decoro coristico e a supporto della voce dellu masculazzu... et voilà la strada era aperta e via...
Insomma, la chiave, la sostanza, a mio modesto avviso, è in quel giovanotto ombroso e taciturno che aprì alla contaminazione, anzi no, meglio: ad un sentire comune che faceva spazio alla sensibilità dello "straniero" per far musica.
Nei Ghethonìa del tempo c'era già il sassofono del su citato Cotardo che appena poteva svisava in morbidezza nell'incanto di "fughe" che, alle parole, prestavano il paesaggio, lo sfondo, l'inquietuzine del jazz. Materia aperta quel far musica capace di sintesi, una formazione colta che, sull'onda lunga del la ricerca folklorica era pronta ad accompagnare il Salento verso il valico di fine Novecento.
Molto era stato compiuto e tanto sarebbe accaduto... Di quel tanto... molto è dovuto a Admir Shkurtaj...
Un gusto musicale, quello della sua terra d’origine fatto, di aperture corali, di scelte ritmiche, tonali e armoniche che molto concedono alla danza, alla coralità ma con Admir giunge in Salento anche l'impronta di una  cultura musicale capace di alta formalizzazione. Quella elaborata "paraticando" il rigore dei Conservatori Musicali d'oltreadriatico... lì non era uno scherzo studiare, fare arte. Disciplina e osservanza ci volevano, per servire il popolo ma anche per far rifugio al sentire dissidente. Non è sempre stata l'arte la prima ad agire il cambiamento? Lo sapevano anche loro nei Conservatori e nelle Accademie d'Albania studiando, studiando si prparavano... Lo sapeva Admir Shkurtaj che con quel groviglio di cognome (che prima d'impararlo a scriverlo...) partì e fu per noi un dono.
Adesso dopo tante esperienze lui - "talea" che ha fatto impianto - matura "Mesimér" un solo al pianoforte, accolto e prodotto da Anima Mundi (e da chi altri se no?). "Il mio primo amore per la composizione è stato Béla Bartók. - racconta Admir - Se nati e cresciuti in Albania è impossibile non essere legati alla tradizione musicale, a una così ricca tradizione. Abbiamo sempre visto l'infinito nella tradizione. Per quanto cerco di staccarmene e di incoraggiare altre forme di “amore per il suono”, lei appare sempre. Si mimetizza persino nello stridolio della porta arrugginita, nelle gocce d'acqua sulle superfici metalliche, nella somma del vociferare nelle strade. Si possono però intraprendere percorsi dai punti sparsi della propria esistenza. La materia te lo permette. Bisogna solo aprire le orecchie! Le proprie e di chi ascolta".
Non ho ancora sentito il disco mi affido delle note che lo accompagnano e con voi leggo: "Admir Shkurtaj, strumentista e compositore, vive il Salento ormai da vent'anni, tanto da conoscerne profondamente la cultura e da poterla percorrere nei rivoli più sotterranei. Come fa qui attraverso i temi di musica popolare che smonta e ricostruisce suono su suono, con la sua poetica centrata sul “gesto”, sulla “fluidità” del pensiero musicale e sulla “sceneggiatura sonora”. Le semplici melodie assumono di colpo sembianze insospettate, in un viavai continuo di travestimenti e rivelazioni".

giovedì 19 luglio 2012

"Tutti i sogni sono uno" di Alf

Alf è Cristoforo Micheli. Voce densa, piena di malìe e di umori, a tener tutto unito una "leggerezza" naturale, un'attitudine all'ironia che non ho mai sentito scadere nel gratuito sarcasmo. Nel giudizio. Alf è libero, frontale, un poeta, anzi, un aedo che accoglie parole per cantarle, per farle messaggio, freccia.
***
Adesso Alf - che abbiamo visto comiziare nell'introdurre i concerti di Opa Cupa - con la complicità di molti sodali del Livello Undiciottavi, si presenta con un bellissimo lavoro: "Tutti i sogni sono uno" disco in cui  dice, cantando, versi di Giuseppe Semeraro e, in un brano, di Maksim Cristan.
Già bellissimo! Non lo scrivo per compiacere nessuno, non ce n'è bisogno, non serve... Un lavoro che, come nello stile autoriale proprio della cricca di Cesare Dell'Anna, accarezza l'avanguardia, anzi le avanguardie stilistiche, traversando generi e sapienze musicali per dar conto ad un suono originale nelle tante aperture d'ascolto che propone.
***
Il Salento, in questo ultimo "giro di banda", racconta di urgenze autoriali che, sul versante delle parole sanamente anarchiche, mostra grandi vocazioni.
Le urgenze istrioniche e condottiere di Cristoforo Micheli certo meritavano la messa a punto, l'ordine di un disco.
E che disco!
Che cura nel booklet firmato da un sempre eccellente - nello sfornar visioni - Marcello Moscara. Verde intenso il colore che domina: verzure accolte nel buio, una penombra nordica, notturna ... Come notturno è il suono che le undici tracce propongono .
Il cuore della confezione è una collezione di fotografie che racconta una storia, quella dell'Albania Hotel, luogo-progetto che - dagli anni Novanta - ha accolto e ancora accoglie una complessa ensemble di persone e soprattutto di personalità.
Il genio creativo abita nel singolo, lo rende autonomo, indipendente, spesso distante preso da misantropie che, però, dentro la consonanza son capaci di farsi virtù: clamore comunicativo... Così è per la musica... e per tutto ciò che intorno ad essa si muove.
La musica - il suonare insieme, il concertarsi - è materia dove l'oltre - l'osare di ognuno - si tocca, fa insieme.
Dall'uno nel ribalzo con l'altro  sale, monta, va al picco la vertigine. Mai cade... e lo sguardo si fa legame nell'astrazione di mani-strumento che muovono il crescere, lo fanno suono.
Qui, è la canzone, l'urgenza delle parole,  il motivo dell'incontro,  perchè "Forse le stelle sono altrove e le cose che stai cercando son dall'altra parte del muro... Tutti i sogni sono uno, tutti i sogni diventano uno".
Questo disco è forse un sogno, quell'uno realizzato dentro un tempo trascorso nel "pomeriggio degli ulivi", dove tutto si rigenera accogliendo i rumori delle tempeste che de-cantano il ri-torno (morso) dei pensieri. Le rabbie e le gioie... lo “sputare del cuore” per esercitarsi alla passione.
***
Un disco che come ogni buon prodotto cresce con l'ascolto, mai ostile chiama e richiama e si fa cantare...
A suonare con Alf-Cristofaro Micheli ci sono Cesare Dell'Anna, Raffaele Casarano, Marco Bardoscia, Davide Arena, Dario Congedo, Luigi Bruno, Marcello Zappatore, Rocco Nigro, Andrea Doremi, Satefano Valenzano, Irene Lungo, Ekland Hasa, Marco Schnable, Andrea "Pupillo" De Rocco, Antonio De Luca.

mercoledì 18 luglio 2012

Un altro mare

Ancora un incontro... Domenica passeggiando sulla spiaggia da Frigole verso Torre Veneri ho trovato la carcassa di un delfino. Pensavo fosse un legno guardandolo da lontano. Un legno contorto e secco, di quelli che fanno bello quel litorale, spesso giganteschi, spiaggiati, arrivati chissà da dove. . .Invece no. Grande circa un metro e mezzo, in gran parte scarnificato e rinsecchito, quello mostrava l'incredibile architettura della spinatura del dorso. Nella domenica precedente avevo incontratoi resti  di una tartaruga. Che pena vedere la meraviglia consumata dalla morte. Questo che viviamo è un altro mare. Una mare in trasformazione un mare che non fa più sorridere a scrutarlo che non ti fa più inseguire in spensieratezza la linea dell'orizonte. E' un mare denso di pensamenti di lutti. Di paure. E la sua natura è la prima ad essere sconfitta avvelenata, rotta da una idiozia che non ha pause.

venerdì 13 luglio 2012

Territorio

“Quando si è iniziato a parlare di territorio? Quando la provincia ha cominciato a prender corpo come “Salento”? - Quello che conosciamo, quello dell’identità strattonata e usurata, quello della pizzica e dell’enogastronomico per forza e dovunque, quello del marketing territoriale che fa la pezza o la coperta - .Quando la parola territorio ha cominciato a circolare e a pervadere il linguaggio politico, culturale, gionalistico...?” Questa la domanda. Il sociologo indaga, guarda dritto negli occhi... Lui sa che c’è un sovrappiù di senso e di significato nell’uso e nell’abuso e la parola territorio è così carica che non significa più niente... Penso e, non so perchè, vado indietro nel tempo. Anni Ottanta. Ricordo una mattina, un blitz della polizia in un appartamento, dentro c’erano i Cutoliani, pezzi grossi della Camorra. Qualcuno aveva parlato. Quel giorno “nasceva” la SCU e... il territorio (?).

mercoledì 11 luglio 2012

Albergo diffuso

Il sindaco di Nardò, per risolvere il sì e no sulla questione Boncuri, ha lanciato l’idea: facciamo l’albergo diffuso per ospitare i migranti. Il campeggio sarebbe meglio caro sindaco. Un bel camping accontenterebbe tutti, ognuno con la sua tendina, la sdraio pronta, le docce e i wc comuni, il bar alla sera per una birretta dopo il lavoro, un piacere... che, uno, ci ritorna appena può a raccogliere angurie, altro che riduzione in schiavitù! Forse Marcello Risi immagina altro, un luogo meno ameno e più comunitario? L’albergo diffuso è fatto da una rete di accoglienza  che si organizza in un territorio per far godere al turista l’essenza intima del luogo che lo ospita. Non è ne la mezza pensione, ne il b&b, è qualcosa di più. E’ stare con le persone, condividere il desco e il dormire, stare nella normalità. Un modo che potremmo chiamare anche integrazione. Ma forse è meglio di no!

giovedì 5 luglio 2012

Meglio esser vecchi!

Lecce non ce l’ha fatta: non sarà Capitale Europea dei Giovani 2015. La proposta fatta non convince e non si passa alla fase finale. Era un risultato scontato? Penso sì! Tante volte s’è scritto tentando di trovare le parole giuste per frenare gli ardori e far capire che non bastano le formule magiche (ad averle) per attivare politiche virtuose capaci di smuovere l’acqua stagna e fare luccicanze capaci d’attirare l’attenzione di chi poi deciderà i destini e le etichettature ad uso e consumo della promozione territoriale. Non è facile ambire, specie poi se le ambizioni devono ogni giorno fare i conti con la realtà, che in questo caso ahinoi, a parte alcune sparate, poco ha a che fare con le politiche per e con i giovani. Quelli che, a dir la verità, si son stancati d’essere considerati una categoria “protetta” solo da far divertire e divagare. Servirebbe altro, già! Servirebbe altro...

mercoledì 4 luglio 2012

Jolanda a Casa Comi

Non ce ne voglia Jolanda, l'apprezziamo da sempre per la gentilezza e per le cose del cucinato, che fan tenerezza perchè ancora tenute in un "antico" che è da preservare com'è, da preservare, la memoria di un luogo che è stanco d'essere solo ricordo: l'Accademia Salentina è la pietra da cui il Salento è partito all'arrembaggio della Storia. Da lì nasce la nostra contemporaneità: l'idea di una Terra capace di incubare e di accogliere il pensiero e il fare creativo. Questa è stata l'utopia di Girolamo Comi, la concreta tessitura de L'Albero. Nelle stanze di Lucugnano e sulle pagine di quella rivista l'incontro è divenuto il carburante di un lento nascere che ha visto, sul finire del Secolo scorso, la piena età. Ahimè, durata poco, se è vero com'è vero, che quel Tempo s'è voluto straniarlo nell'immagine di un Salento a-culturale, dove cultura è tutto e niente e le sapienze sono da stemperare come la pastella delle pittule per friggerle e per far sì che riempiano solo la panza... Come si fa ad essere indifferenti a questa verità?

martedì 3 luglio 2012

Lo sguardo e l'arte

Una nuova leva di sguardo trova spazio, e si afferma. Per quanto tempo questo territorio ha sofferto per l'endemica mancanza di critica d'arte? Finalmente l'incanto del soldo s'è rotto e, quanto maturato nell'ultima piega di tempo, porta in dono una militanza che (per chi lo sa e anche per chi non lo sa) fa tesoro del Fate Fogli di Poesia Poeti di Antonio L. Verri. Lì era scritta la rottura con l'accademismo e con la delega al poter dire... Stucchevole, per molti versi, quello che la scrittura critica e la "curatela" salentina hanno prodotto in ambito artistico per tanto, troppo tempo. Adesso il campo è “libero” e, salvo alcune ostinazioni istituzionali, che poco dicono ai movimenti in atto, la terra si muove. Andate alla E-Lite se vi capita, a vedere le tessiture pittate messe su da Lorenzo Madaro. Oppure bussate alla porta di Koreja e chiedete il catalogo di "Senso plurimo" che ha la regia di Marinilde Gianndrea. Poi, non guasta andare a spiare a Palazzo Vernazza dove Sm-Art Lab dialoga con Art and Ars per metter su la mostra di un illustre straniero-salentino. E poi ci sarà Sambati a Lequile... e poi...

lunedì 2 luglio 2012

"Dove cercare?" "Nella piega...". Così mi diceva se chiedevo. E mai risposta fu più saggia per formare l'attenzione. Guardiamo ma poche volte capiamo che ciò che vediamo è illusione. Non è verità. Se mai verità può esistere. Il luccicare pervade fa occupazione d'occhi e ciò che brilla attrae. Meglio ridere. Meglio bearsi nella superficialità che cadere. Meglio la pista d'un lancio verso l'infinito che provare la caduta: meglio meglio meglio. Così detta la consuetudine... Monotona senza mai determinare un accapo... Ah! La vertigine! Ieri sussurrava oggi urla. Ieri chiedeva sempre permesso, oggi se vuole qualcosa se lo prende. Ieri rifiutava oggi cosa bella, ogni dono... Oggi finalmente prende tutto, lo vuole e non ha paura di sempre eccedere. La vita è così gioca sul bilico. Beato che quel bilico ogni giorno lo sperimeta senza paura d'andare a capo, di provare la vertigine, la caduta, la ferita!

venerdì 29 giugno 2012

Sophia, nel paese della meraviglia

Oggi, venerdì 29 giugno, alle 20.30, s’inaugura a Corigliano d’Otranto “Sophia nel Paese della Meraviglia”, parco filosofico 3.0 che rimarrà aperto (visitabile il sabato e la domenica) nei mesi di luglio e di agosto.
***
Corigliano l’ho scoperta vagabondando, capitato lì nella mira d’un giorno senza meta di un epoca ormai remota. Era d’estate ed erano le ore della controra. Ero solo. Io e il teatro. Il Teatro dei luoghi  la sontuosità della pietra e insieme quel rigore dell’umiltà contadina che  tessono il nostro abitare, lo rendono unico, dentro quelle filature di senso, che solo la Storia sa portare scrivendo i destini.
Corigliano d’Otranto adesso è perla in questo Salento ammaccato dall’ubriacatura del marketing territoriale. E come ogni perla sa fare sottrazione di senso per arrivare al senso: al profondo significare,  nell’interpretare le necessità del Tempo.
Corigliano è laboratorio, “città ideale” che apre la Corte ai pensamenti artigiani che mettono la maestria a servizio della conoscenza.
Un piacere, che solo gli illuminati e i semplici comprendono, accolgono, facendo occasioni. Il Teatro dei luoghi s’è fatto maturo, adesso spolvera ciò che è sedimentato e sa vestirlo, renderlo ancora intrigante, unico, dando voce all’Anima.
Ah! quel sogno, quel desiderare, quel continuo cercare ha trovato Casa. E orecchie anche,  capaci d’ascoltare. E’ così che un Sindaco - in una democrazia ormai troppo a/normale - diventa Magnifico di una  corte che il Rinascimento sa coniugarlo al presente.
Già, Corigliano è scena (il Salento è scena), Corigliano pensa (il Salento dovrebbe pensare). Corigliano è meraviglia (il Salento potrebbe tornare ad esserlo, se solo sapesse custodirsi).
Corigliano s’inventa in minore, al riparo, e, greca nella grecìa mette le mani nella filosofia per ri-trovare affinità di Terra e di pensiero, se possibile, se si accetta di prestare spazio all’ascolto delle domande che ci abitano.
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Meraviglia è la  parola chiave.
E da dove nasce la Meraviglia? Come fare ad incubarla nella sua densità d’occhi e di stupore? Questo si son chiesti imbastendo l’opera Ada Fiore la sindaca, Antonio Lupo Pendinelli attore-regista e direttore artistico, la mentore Graziella Lupo Pendinelli, l’artista del corpo in immagini Mina D’Elia, i giovani pensatori del liceo classico “F. Capece” di Maglie, i giovani tecnici-artefici dell’IISS “Enrico Mattei” di Maglie che - pensando, pensando - insieme, han dato corpi, mani, idee a Sophia.
La tecnologia è venuta in aiuto, quella d’uso comune e quella re-inventata così come capita quando il laboratorio s’accende di virtù. E il campo di ricerca s’è fatto veggente, anticipatore, ha saputo trovare soluzioni capaci di far parlare un albero, d’accendere un segnale al passaggio, di dar voce a chissà cosa... Toccherà recarsi in visita per andare in fondo alla questione, lucidando gli occhi, lavandosi ben bene da ogni resto di consuetudine per approfittare fino in fondo della Meraviglia!

sabato 23 giugno 2012

Nel soffoco

Non si muove l’aria. Il caldo è un assedio. Le solitudini poi, col caldo, fanno il soffoco alla possibilità e la deriva è li, ad un passo. La fine anzi, la scelta del non più! Quanta paura ci abita intorno e non lo sappiamo. O forse sì, lo sappiamo ma è meglio non curarsene, tirare avanti nella distrazione e, l’estate è l’estate, per il suo bello. E ogni stagione sarà così... solo per il “bello”, quello “relativo” s’intende, dettato dall’egoismo che sceglie ingordo e dalla nostra raccapricciante infedeltà all’altro. Ieri, nel tardo pomeriggio, un vecchio, nel quartiere San Pio, era seduto sulla ringhiera del balcone al quarto piano. Si dondolava, le gambe appoggiate ad uno sgabbello. Non voleva farla finità, era lì però, su quel bilico, si mostrava e con sè tutto il dolore portato, tutta l’incomprensione scontata. Tutta la paura custodita. “C’è sta faci an pacciutu”  gli ha gridato una donna. Lui ha risposto “No”.

Semeraro e il Lecce

Pare (sia chiaro, quel “pare” è un eufemismo) che il patron dell’U.S. Lecce, Giovanni Semeraro appena divenuto “ex”, abbia slacciato i suoi rancori e giunto al passaggio di mano si sia tolto il gusto di “mandare a quel paese” (anche questo è un eufemismo) la città e i suoi tifosi. Bravo! Bravo! Ogni tanto ci vuole uno con le palle (perdonate l’eufemismo)! Uno che ha il coraggio di dire a Lecce e ai leccesi: “Questa non è una città da Serie A”. Un grande, uno completamente controtendenza. Un “moderno” nell’era dei “contemporanei” che vorrebbero farsi Capitale del “chi più ne ha più ne metta” senza considerare che per far ciò bisogna farsi un ... (qui, evito l’eufemismo) da non immaginarselo... Altro che lavatrici al nuovo nuovo Museo del “non so che”. Altro che il Sedile nuovo nuovo inaccessibile. Altro che il nuovo nuovo inutile se non è vita, non è condivisione, non è vera cultura... Non è necessità.

venerdì 15 giugno 2012

Notte Balkan

Lui, l'istrione più istrione che il Salento conti nella sua "epica musicale" mi chiama, è incazzato. "La Notte della Taranta del quindicesimo anno, alla sua prima conferenza stampa, come d'occasione a Roma, è tutta scritta nella "scordanza". Questi praticano per vocazione il tradimento - consapevole e "colpevole" - di tutto quello che il Salento ha espresso e continua ad esprimere. L'ubriacatura dello show ha fatto perdere loro memoria e sguardo - e anche l'orizzonte critico. I padri, più o meno titolari dell'evento, invece che esser levatrici giocano a fare i becchini di una scena che nonostante la iattura resiste...". E' un fiume in piena, non riesco a far argine alle parole e lo ascolto non potendo che considerare giusta la sua amarezza. Con questa storia della "novità balcanica di Bregocic" la figura è meschina, l’ennesima, un continuo riproporre esperienze traversate ed ampiamente sperimentate spacciandole per novità. Ma che ci volete fare, è così il Salento, è smemorato... vezzo diffuso che fa tristezza alla Storia.

martedì 12 giugno 2012

L'idiota delle bombe

Hanno trovato altri ordigni: li teneva in campagna l’emulo nostrano di Theodore John "Ted" Kaczynski, l’Unabomber, l’americano. Lo scienziato che smesso il “pensiero” si dedicò a confezionare pacchi esplosivi durante un periodo di quasi diciotto anni, provocando tre morti e 23 feriti. Un “campione” del pensiero negativo e nichilista che nelle sue terribili derive e nella sconfinata “america” trova adepti. “Ted” al momento dell’arresto - il 3 aprile 1996 nella sua capanna isolata fuori Lincoln, nel Montana - non chiese “Quanto tempo devo stare qui?” e giustificò i suoi atti come tentativi di combattere contro quelli che lui considerava i pericoli del progresso tecnologico. Questo meschino di Copertino, non sa, non dice, non ha teorie, non ha “pensiero” è uno “sciocco criminale” che proprio perchè “sciocco” è ancora più pericoloso: a guardarlo si rischia lo sprofondo. Un idiota senza costrutto che faceva bombe...e che ahinoi, le ha usate...

sabato 9 giugno 2012

Il nuovo libro di Antonio Errico... e gli auspici per il "cambiamento"

Il Salento è di moda! Speriamo che passi! Certo i salentini non me ne vorranno, ma c'è bisogno di riparo, di stare nell'angolo... che si sentono cose che non si vorrebbero sentire e tutti corrono qui a guardare... Che penserà il Santo Giuseppe della sua Copertino, cascherebbe giù, da quel dipinto se avesse orecchie e tutte le immaginette col Desa dei voli avrebbero lacrime...
Anche gli editori si sono accorti che il Salento “tira”, quelli “stranieri” dico, e alzano il tiro, e commissionano libri sul Salento ché qui: c'è la luce più bella per il cinema, chè qui c'è la pizzica pizzica e il “ragazzi del Sud Sound System e c'è la buona cucina mediterranea e l'angolo da cartolina ancora conservato ad uso della fotografia più bella e l'albero di canto ancora fiorisce... Scrivete, scrivete, scrivete... così il turista avrà di che “consumar-si”.
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Poi ci sono gli scrittori e gli editori di qui, non c'entrano nulla con la “bazza” usurante e scrivono e pubblicano e certi, invece d'andare “Avanti”, amano tornare “Indietro”. Alcuni esplorano e si spingono nell'incanto della Foresta che prima abitava la nostra Terra, quella dei Lecci sontuosi e delle Vallonee giganti e della selva delle Volpi, giù giù verso Leuca, verso l'aperto dell'Infinito... del Mare. In quella foresta che non è più e che mai più sarà ora, che si sbrigano a rosicchiarne gli ultimi lembi per servire con strade a quattro corsie quell'in-finito che non è più tale...
Ma che volete farci, sbrigarsi è la malattia che pervade e gli editori e gli scrittori “non di qui” devono pur tirare a campare... Perdoniamoli...
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Antonio Errico – che è scrittore di qui - con Manni Editori – anche loro son di qui, lo sapete... - ci fornisce un altro dei suoi “antidoti”... dopo gli incanti che inseguivano le cacce di Federico Re con le sue Stralune verso Finubusterrae ci dona “Un romanzo storico, una storia d'amore. (…) Un libro di libri, di filosofie, di misteri. Che dice del tempo, della luce, del vuoto, della vendetta, del potere, del destino, di verità e di menzogne, di passioni e stupori”. (…) Una riflessione dolorosa sui tortuosi processi della Storia”.
L'andatura di lettura e quella dettata da un “fabulare” che cuce stretto il sentire della poesia con il passo narrativo. É come sentire una canzone leggere le cose di Antonio Errico. Un canto denso di ecolalìe... come quelle che fanno l'attacco volgendosi ad un “Nobilissimo Signore”...
E allora con quel “principiare” vogliamo chiudere quest'invito alla lettura de “L'esiliato dei pazzi”, questo il titolo del libro che sarà presentato con una lettura corale a San Cesario di Lecce, mercoledì 20 giugno: “Nobilissimo Signore, se venissi da queste parti, in qualsiasi tempo dell’anno, in qualsiasi ora del giorno, se arrivassi qui da terra o da mare, se vedessi la miseria e lo splendore mischiati e confusi, se ascoltassi le nenie e i canti del lutto, se comprendessi la rassegnazione davanti alla vita e davanti alla morte, se ti rendessi conto com’è che la sorte è decisa dal cielo in un attimo soltanto, da un assalto di grandine, da una furia di vento, se conoscessi la provvisorietà dell’esistenza di questi uomini muti, di queste donne stravolte di pazienza, tu non avresti più nessuna tentazione di gloria e di potere”.
Che dite?! Lo uso d'auspicio, ma loro certo non capiranno!