giovedì 29 dicembre 2011

Il prodi Monti

Mumble, mumble... Questo il rumore dei pensieri nei fumetti. Con questo vi ho lasciato ieri mattina e con questo mi trovate! Già, ho sentito Mario Monti ieri, seduto a tavola all’ora di pranzo. Lui s’affacciava dal Tv, in conferenza stampa per “raccontare” la fase due del suo governo dei tecnici. Conferma di stile! Il suo, pacato, professorale, con le pause in cerca delle giuste parole e dei giusti pesi. Uno stile Prodi, in qualche modo. Così pensavo mentre lo guardavo. Niente a che fare con le moine del suo predecessore, anche la scenografia si discostava dal tutto celeste berlusconiano. Location scelta “senza cura”, un salone “anonimo”, il fondale proiettato con le insegne della presidenza del consiglio ereditate dai designers di Arcore. Un’autarchico il “prodi” Monti? Mumble, mumble... Sarò tardo... ma non capisco e macino pensieri... ho già pagato l’anticipo tributario e domani mi tocca il rinnovo dell’assicurazione... Mumble, mumble...

mercoledì 28 dicembre 2011

La malattia dello spred

Ah! C’è la “soglia psicologica” dello Spred. Così ho sentito per radio. E mi sono figurato il signor Spred. Oh!, poverino certo è sofferente, ingordo com’è: desolato e insaziabile. Vista la voracità, la sua patologia va inscritta nei protocolli dei Disturbi Alimentari. Bulimico non è! Non vomita pare, macina tutto, digerisce e non gli basta mai. Vomitasse, qualcosa resterebbe... ma ahinoi! Non è così. Allora è un compulsivo, uno a cui piace l’abbuffata. Quel che è terribile non pare esser vittima di sensi di colpa! Insomma, non si tiene. L’abbuffata più clamorosa l’ha fatta proprio ieri. In mattinata gli hanno dato da mangiare Bot freschi, freschi... sembrava placato, ma niente, fatta una pennichella, a panza piena s’è svegliato e via a spalancar le porte delle Borse, quasi fosse la visita in notturna di un frigorifero e via a far scorpacciata... Che fare, provare con le terapie integrate. Ma no, la finanza creativa i guai gli ha già fatti... mumble...

Lecce sbarocca

Incontri Per “Lecce sbarocca”, di Franco Ungaro, due presentazioni


Oggi mercoledì 28 dicembre, alle 18.30, nello spazio di Lecce2.0dodici, in via Nazario Sauro 58, il libro di Franco Ungaro sarà “puntuale” pretesto per parlare della città, del suo carattere, del suo temperamento, del suo porsi agli altri, del suo essere (S)barocca: con l'autore Giovanni Pellegrino e Mauro Marino. L'altro incontro è fissato per il 4 gennaio 2012, nel Foyer dei Cantieri Teatrali Koreja, con l'Happy Hour Sabrocca che sarà condito dalla voce di scrittori di generazioni diverse che racconteranno la città, i suoi umori, i suoi personaggi, le sue contraddizioni...


Tornare a Irene

Mauro Marino


C'è la critica, certo! Quella la trovi già nel titolo che, fa “attentato” e tracolla ciò che ai più, pare certezza: la “rendita”, il lascito del barocco, che ai Leccesi pare immortale.

Eppure il “ricamo” barocco è materia fugace, è della fragilità.

La pietra è preda del vento, della pioggia, del tempo, d'una consumazione che ri-scrive l'intenzione e la fa doppia come quello sbaroccare del titolo che vuole de-strutturare la sostanza, la certezza della “leccesità” per guardarla dentro, per consumarla, se possibile...

Ma c'è anche il letterario a tessere il “politico” nel libro che Franco Ungaro ha licenziato con Besa, il suo secondo dopo lo straordinario “Dimettersi dal Sud”.

La scrittura, l'arte dello scrivere in “Lecce sbarocca” vive di attacchi. Di continuo principiare, come delle “entrate in scena”, pagina dopo pagina lo svolgimento, il continuum narrativo, è dato al lettore offrendogli molteplici piani di visione. Intersezioni di citazioni, di cronache, di note storiche, di pensieri, di racconto e anche, perché no, inizi di romanzo si mischiano e fanno corpo.

Quello che più tocca è l'elegia del passato (come potrebbe essere altrimenti... Siamo o non siamo carne romantica?).

Le pagine più belle (e più dure) quelle dell'infanzia, quelle col cavallo Lele nella casa -stalla: l'origine ha un'altra visione per Ungaro, ha il crudo contadino, quel muso duro che l'autore non ha mai smesso. Ancora più bella - se è possibile fare gara di pagine - è la Lecce degli anni Settanta – Ottanta che Ungaro descrive sospesa, materia selvatica del desiderio. Quella ancora tenuta nella speranza. Quella che solo viveva un eterno presente, senza bisogno di guardarsi in prospettiva, di nominarsi. Quella immersa nel suo Tempo e mai piegata dalla soggezione, superata quella nella sintonia, nell'essere Movimento. La musica a guida, il “media” di aperture che per intero sapevano il Mondo. Poi... con un passo che prende lena nel distacco Ungaro affresca l'oggi con le sue “conseguenze”, con le mire che non hanno occhi e il suo lavoro diventa il luogo dove poter lavare ciò che è inlavabile, le colpe son tante, è inutile ri-elencarle qui... leggete il libro... La speranza è di tornare a Irene l'antica patrona, lei sola “aveva governo” fino al 1656 poi... Un altro libro sarebbe il caso leggere a questo punto... ma non mi dilungo. Ma che sia il caso di partire da lì per tentare di capirci qualcosa della “leccesità”? E già, perchè “Lecce esagera anche con i santi protettori. Molte città ne hanno uno, solo uno, la capitale ha San Pietro e San Paolo, Lecce ne ha tre: Sant'Oronzo, San Giusto e San Fortunato. Nel Seicento ne aveva addirittura tredici...”.

Ciao Bello!

Aldo Bello non l’ho mai conosciuto, ma ne ho assorbito il “mito”. Uno stratega del lavoro culturale così me lo sono immaginato nei racconti che mi faceva di lui Antonio L. Verri, già! Aldo Bello è per me "Apulia", la rivista della Banca Popolare Pugliese. Un periodico che ha imbastito negli anni il vestito della cultura salentina. In quelle pagine trovi “tutti” e specie quella generazione che negli anni Ottanta s’è immaginata nella possibilità di valicare il limine della provincia osando l’invenzione. Aldo Bello che quel limine l’aveva traversato da tempo faceva terreno e concime e in quelle pagine con le grandi firme dell’economia europea mischiava le visioni dei poeti di qui, la storia patria con le diatribe internazionali. Un esperimento unico a cui tanti dovrebbero guardare per imparare in umiltà il "come si fa". C’è da esser tristi per la perdita. ma sento di no! Sorrido a lui! Sorrido al maestro!

martedì 27 dicembre 2011

Un padre più che un compagno

Giorgio Bocca se ne andato in un giorno senza giornali. Crescere con Bocca è stato un privilegio. Il giornalismo per noi della generazione “cosciente” appena dopo il Sessantotto è stato fondamentale. La nostra socializzazione con Mondo ha avuto il giornale come “media” privilegiato. Troppo frastornati e con troppo da fare per stare sui libri - quelli che per i più grandi di noi erano il “segreto” di una leadership coltivata (almeno così noi credevamo) sulle pagine dei Grundrisse di Marx. Il giornale no era più agile e poi ci trovavi la vita, l'accadere delle cose e i fili che tiravano la logica. Fili oscuri quelli degli anni Settanta e Bocca, Giorgio il partigiano era “luce”, cruda luce che aiutava a capire con chi e per cosa valeva la pena spendersi, per me più padre che compagno. Uno con la giusta distanza e soprattutto la giusta esperienza per far da guida a noi che spesso avevamo i calori del crescere.

venerdì 23 dicembre 2011

Il messapo dimezzato

Siamo preoccupati. Noi, vogliamo bene a Paolo Pagliaro, alla sua indole condottiera soprattutto. Alla sua “chiamata alle armi”, col tempo, ci siamo affezionati e non capiamo come mai si sia arreso! Già, così ci pare, una resa, un'abdicazione alla confraternita dei pescecani l'andare a sedersi al tavolo del PdL. Noi, ce lo siamo sempre immaginati bello e fiero, erto sul cavallo messapo con l'elmo di Arthas! Ed ora che fa il prode, smette l'elmo, lo scudo, lo spadone? No caro Pagliaro, l'attrezzatura dovevi tenerla, lucidarla e se il caso lo spadone affilarlo. L'autonomia, per i Messapi, era il valore. L'andar soli! Questo volevano e ottenevano gli antichi progenitori e la terra di mezzo era al riparo, un'isola! Poi col tempo sappiamo com’è andata e non vorremmo che quel tempo... Oh! Mi riprendo... buongiorno... ah, semi lascio all’enfasi divento Messapo anch’io e sulle tette della Grande Madre mi riaddormento... Meglio lì, pagliaro, Meglio lì!

mercoledì 21 dicembre 2011

Ah, già il teatrino

Fanno impressione questi che si scalmanano contro il governo Monti. Ieri ho visto il dentista “verde camiciato” tornato sui banchi di Montecitorio che perdeva la voce, nella sua bocca le parole “democrazia” e “popolo”. Quelle son d'ordinanza per chi nulla vuol dire se non far caciara. Che beffa, erano al governo sino a ieri del popolo e della democrazia gli importava poco. Un altro che mi pare diventato “estremo” è il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, sì, proprio lui, quello che andava in udienza a Palazzo Grazioli dal buon Silvio. Adesso il capo sindacalista è il più incazzato con i “tecnici alle redini” e, alla “maestrina” Fornero vuol regalare un torrone, per “addolcirla” dice. Con il torrone a Bonanni farei un'altra cosa... Bha! Perchè fan così? Ah! Già, il teatrino, la regola della scena loro la sanno tenere, non si stancano mai. Non son mica attori. Narcisi sì, quello sì!

lunedì 19 dicembre 2011

Dove abita la cura

Una domenica al riparo quella trascorsa. Sul limine, non è lì che l’underground che è linfa d’ogni cultura trova la giusta distanza per “fare” lo sguardo? Anche Lecce ha luoghi dov’è possibile affinare l’arte dell’attesa, dove gli occhi s’allenano al mirare. Scrutare in attesa è arte dei saggi. Tenere aperte le narici per catturare gli aromi e le mani pulite per fare meglio carezza e contro carezza alla superficie della bellezza. Ci vuole allenamento. Anche la bocca ha le sue regole e i piedi, anche quelli... Una questione di presenza, l’attesa. Quelli ancora più saggi la chiamano “rigore”, quella “presenza”. Una strana materia che è consegna dei maestri. Prima viene come “consiglio”, lo danno certi di ricevere, a muso duro, un secco rifiuto. Poi col crescere l’allievo lo comprende, il rigore, la caratura dello stile e, ne fa materia per il prossimo “scambio”. Un gioco circolare il dare doni. È dato a pochi. Speratelo per il Natale! Allenatevi!

sabato 17 dicembre 2011

Preda del brutto

Chissà se il giovane sindaco Paolo Perrone esce la sera. Se passeggia per la città e si guarda intorno. Certo avrà pernsato che meno male che c'è Piazza Duomo (che mostra una sontuosa sobrieta) se no, il Natale, questo Natale, sarebbe un disastro per Lecce, ammorbata da una allestimento in Piazza Sant'Oronzo (e in ogni dove) che non lascia spazio allo sguardo. Adesso hanno colorato pure i lampioni. Ohi, e perchè? Che bisogno c'era d'aggiungere colore? Chi l'ha pensata? E quanto è costata? Le stelle deflagrate su Palazzo Carafa non bastavano? Adesso c'è anche il gigantesco che alza la sua anima metallica. Viene desiderio di vuoto. Di silenzio! Forse in tempo d'elezioni è difficile scegliere dire di no! E allora che si fa? Si dice di sì a tutti ed ecco che la città diventa territorio del tutto e niente. E soprattutto del brutto. Speriamo che arrivi presto il 26 e tolta la plastica sul tondo, Sant’Oronzo avrà un pò di spazio da godere.

venerdì 16 dicembre 2011

Sai, ha parlato

S'appisolano poi, di colpo tornano e gli uffici stampa son costretti a turni massacranti di lavoro. Uno dichiara... e tutti a scrivere. Il "dattilo centrale" passa agli altri e poi, via di telefonate: "Sai, ha parlato" e tutti a scrivere. Più o meno ubidienti, così la vita del cronista per buona parte della giornata. Guai se interpreti... Anche quelli che sembrano meno permalosi se la prendono e la bacchettata, più o meno vigorosa, sulle dita impertinenti, arriva. Di questi tempi poi il "Sai, ha parlato" cresce esponenzialmente... c'è la crisi, il Monti-Governo e tutti sono impegnati in linea a "giustificare" scelte amare o a prendere le distanze. Per tornare alle Cose di Casa c'è l'atletismo delle primarie che “guarda che fatica...” e poi le beghe giudiziarie che tirano la giacchetta del Tailleur della Signora che "non" si capisce perchè non pare essere più in corsa per tornare a far la Sindaca. Mi sbaglio? E intanto Lei, dichiara a tutto tondo.

Solidarietà

"Siamo in recessione!" dice Confindustria.
"Il paese è nervoso" dice Umberto Bossi per giustificare il casino dei suoi nelle aule alte della Repubblica, quelli, come dei figuranti, mettono in scena gli umori più bassi come se istituzionalmente non avessero ruolo inverso.
"Ci sono cose che non devono farmi alcun effetto..." ha detto il troppo quieto Mario Monti. Qualcun’altro di verde incamiciato s’è espresso con un "Per i comunisti e la Cgil ci vorrebbe il lanciafiamme".
Insomma non siamo messi bene! Eppure mi vien voglia di essere cittadino "retto", "ligio" ai doveri della cittadinanza, della responsabilità civica. L’unica è lavorare, avendo la fortuna d’avercelo un lavoro. Di pensare a come costruire un’uscita dalla stretta. Non credo serva urlare. Il Paese dovrebbe mostrarsi unito, non intorno a chi lo governa. Ma intorno a sè stesso! Questo servirebbe, si chiama solidarietà!

mercoledì 14 dicembre 2011

Politici da you tube a Lecce

Che pena quei signori che ieri si dimenavano sugli scanni di Palazzo Madama con i cartelli alzati e quello, il dentista prestato alla politica, sino a pochi giorni fa era ministro, che difendeva il suo dai tentativi di un commesso di levarglielo. Cravatte e camice verdi d'ordinanza il manipolo contestava il molto – troppo – garbato Mario Monti. Lui è mellifuo, quasi ti strega se stai lì ad ascoltarlo. I professori, quelli di certa carriera, sviluppano l'arte seduttiva. Pesano le parole, costruiscono le giuste pause, fanno anche solfeggi e contrappunti nell'intessere il costrutto delle frasi e l'uditorio è bello che convinto. Certi salgono anche in piedi sui tavoli, così per stupire, ma son quelli son più poeti che altro. Il professor Monti ha bisogno d'aver i piedi per terra, quanto più possibile. Poi ci son politici che ricorrono a You Tube per far politica. Ma di quelli è meglio tacere. La politica è cosa seria non macchietta o macchiettismo ed è questo che ci par di vedere, caricature!

martedì 13 dicembre 2011

Solletico per graffi

“E se tornassi fuori a guardare quello che accade in città, invece di star lì a fare il filosofo..?” Così mi ha apostrofato, con il giornale in mano, un tizio che neanche conoscevo. Già, darsi ai lettori comporta questo rischio: diventi “voce” e quando manchi c’è qualcuno che s’incazza. “Mi piacevano i tuoi corsivi acidi, mi mancano” ha aggiunto. Già, anche a me, ho pensato! Certo che ne avrei di motivi per scatenarmi in “graffi”. Ma devo dire che la scena non stimola la penna ma ben altre funzioni. Il teatrino politico, l’ingolfamento delle primarie, gli arresti eccellenti, il filobus che non parte, i tira e molla di Vendola e Fiore. Mi fanno noia! Sarò snob? Bha, mi va bene così. Son cronaca e come cronaca vanno trattati, non c’è spazio per il pensiero, per nessun volo, neanche più per lo sfottò. E’ ordinario che continua l’ordinarietà, null’altro. Speriamo nel solletico!

Il Sud Sound System torna in teatro

Sono trascorsi dieci anni dal debutto di Acido Fenico, venti, dall'esordio del più vero “miracolo” salentino che memoria critica ricordi: l'avvento del Sud Sound System. All'epoca, i prima anni Novanta, la lunga terra di Puglia si fermava a Brindisi la mèta era la Grecia per chi s'avventurava a Sud. Noi qui, al riparo, godevamo (e un po' rosicavamo) la nostra beata “marginalità”. Sia chiaro non la interpretavamo come negativa, sapevamo d'essere con la “spina attaccata” e le “cose” del mondo ci appartenevano - eccome se ci appartenevano! Le “cose”, eravamo capaci di prefigurarle, di sentirle prima, di anticiparle in tendenze e in atti più o meno privati. Così è successo per tutto il Novecento e soprattutto dagli Ottanta in poi quando il “volano culturale” ha incominciato i suoi fruttuosi giri. Ma questa è un'altra storia... Intanto, la pancia di Papa Gianni è cresciuta e con quella la consapevolezza dei Sud Sound System di essere stati leva di più di una generazione di “figli”. La dance hall, la culla dove hanno trovato “accudimento” e valori espressivi. La mira alla natura, alla qualità del crescere. Il no convinto alla mafia, il "profondo" credere nell'amore ha prodotto un'autonomia autoriale e “comportamentale” che ha dato, nel corso del tempo, al territorio, valenze “inaspettate” e durature se messe in relazione con i legami, con la “tradizione” e con le mode. Anzi, meglio, è dalle “tradizioni” (quella salentina ma anche e soprattutto quella ragamuffin) che i giovanotti hanno trovato spunto per un radicale tradimento: per essere loro stessi.

Con loro il Salento ha conosciuto e s'è sposato una “jamaica” divenuta ricca di cantanti, di club, di dj set, traversata e travagliata da contaminazioni e sempre attenta ad allargare la scena. Tutto frutto di una ancora inesausta partenogenesi che, nell'esperienza originaria, trova linfa e leadership. (Ma anche questa è un'altra storia...).

“Acido fenico” torna in scena, questa la storia che la cronaca di questi giorni ci detta – vedremo – giovedì 15 e venerdì 16 ai Cantieri Teatrali Koreja - uno spettacolo diverso. “Ancora più duro” dell'edizione originaria, tessuta da Salvatore Tramacere su una partitura che porta la firma illustre del magistrato-autore Giancarlo De Cataldo. Una versione interpretata questa volta da Fabrizio Saccomanno attore-filosofo maestro nel con-fondere i toni narrativi a quelli più strettamente e intimamente interpretativi, e Mimmo Carunchio è personaggio intero, icona-macchietta del criminale “sacrista” che è impastato di crudeltà ma soprattutto di “boria”. Il disincanto è d'upo. Loro, i Sud sono il coro. Come quello dell'antica tragedia racconta l'intorno, il sentire comune, le passioni ma soprattutto le delusioni. Un coro “interprete” di una terra che sente l'ingombro del divenire, i suoi guasti e la nostalgia di quella “marginalità”, regale se paragonata ad un oggi che, maldestramente svuota, la natura per donarla al fotovoltaico. Non c'è più il Salento, nelle parole amare di Papa Gianni, che è agricoltore prima che cantante, non c'è più la campagna, il piacere di coltivarla. E' tutto donato alle parole, ai buoni proponimenti, ai grandi orizzonti retorici, ma la realtà è povera d'orgoglio. Mimmo Carunchio ha vinto? Forse sì, anzi, sì, s'è travestito cambiando modi alla sua boria, ha imparando le parole della “politica”... Noi abbiamo perso e con noi anche un poco il Sud Sound System.

Noi siamo il cibo

La gastonomia è la sponda, l'unica possibile alla consolazione. Si finisce sempre lì, a parlare di cucina, al riparo, nel conforto del cibo! Anche il letterario trova sublimazione quando la penna scrive del gusto e l'inchiostro è quello di intingoli che mischiano i doni della natura.

Quanto s'è costruito intorno alla cucina in questi anni, nuove "filosofie" hanno trovato e trovano accudimento in pentole di coccio, mescolate con cucchiai di legno su un fuoco lento, quanto più lento possibile come un sano masticare, come il perdersi nei sapori, quasi che quello sia l'atto determinante di un nuovo concepire la vita. Ma ahimè non sempre e così e se è così è cosa di pochi, d'una elite che con la "bazza" del gusto fa denari.

Stamane, Lei ha pianto, per Lei il cibo è un aberazione, una violenza. Era ferma davanti ad una fetta biscottata che, i suoi trenta chili, rifiutavano con un'energia inaspettata. L'educazione alimentare, la ritrovata passione per gli orti a "Km 0" dovrebbe insieme perseguire lo scopo di un'altro approccio alla vita senza dimenticarsi di Lei. Il suo: un altro approccio alla "vita": esserci e dimenticare, mettendosi a lato, incapace di dirsi, di raccontare un "no" che nel cibo trova il suo "oggetto". Distraggo i pensieri, scendo giù, io per non pensare mangio!

sabato 10 dicembre 2011

In cerca del Natale domestico

Sono curioso d’andare a guardare. Dopo una settimana seduto alla sedia del “dirigere” stamane, parto. Compro il giornale è m’allontano dalla città barocca e dai suoi ingombri. Dritto, punto altrove. Voglio andare a guardare il Natale sotto un altro “cielo”. Tento altri odori insomma, altri colori se possibile, molta strada non posso fare... sapete com’è la sedia non ha un lungo guinzaglio e tira al tornare. La méta in Puglia, nel Salento tarantino e punto la Twingo nell’alto di Oria! Da un po’ che chiama. Chissà perché, torna in mente. C’andavo da piccolo con tutta la famiglia, tappa obbligata di un pellegrinaggio che faceva prima tappa a Manduria, poi a Oria al Santuario dei Santi Medici e infine Taranto, la banchina del porto vecchio. Ho desiderio di un Natale domestico, intimo, al riparo. Ho desiderio dell’odore del camino, del freddo che chiama la lana... Ho desiderio di guardare altrove per capire dove noi qui manchiamo!

Alessandro Passaro - L'eroe guarda e pitta

S'inaugura domenica 11 dicembre alle 19.00 negli spazi di Art and Ars Gallery in via Orsini 10 a Galatina la mostra “She’s me(scismi)”, nuova personale dell’artista Alessandro Passaro a cura di Francesca De Filippi


“She’s me(scismi)” titolo curioso... Guardo le foto in allegato al comunicato stampa che annuncia l'expò di Galatina e ho un ricordo di Alessandro che mi fotografa dietro la stradina del Fondo Verri a Lecce. Mi ha sempre intrigato il lavoro di questo “ragazzo”, il suo trasporre in surrealtà il realismo, così mi sono figurato la sua opera guardandone “affascinato” non molta, un “poco” che m'ha fatto sbalordire. C'è tenacia nella sua pittura, un perseguire e insieme inseguire la visione, quasi che fosse frutto di un "corpo a corpo" tra volontà e atto. Conosco di più Alessandro che la sua vasta produzione, la vita ti porta a sfiorare esistenze e quelle diventano piccole consuetudini, sguardo, affetto, vicinanze, complicità. Lui, è un “gigante” della vita e della pittura in essa, lo capisci subito al cospetto di un suo lavoro, il suo tratto, il suo pittare è abitato dalla maestria, dall'ampiezza di un gesto che racconta, descrive e poi, repentino, lo spostamento: uno sbigottimento privo di destino consolatorio. Rimane lì e inquieta continuando a narrare il colore, la materia che impasta e le linee degli incontri. Gli occhi sono chiamati allo scavo, il sorriso accompagna, il disincanto fa la strada. Adesso una nuova linea, così leggo...

«Le opere esposte all'Art and Ars Gallery (del gallerista militante Gigi Riliaco), segnano un passo importante nell’evoluzione di Passaro, mettendo in evidenza una ricerca che naturalmente si indirizza verso l’identificazione tra visione personale e memoria collettiva, in un continuo alternarsi di materia, forma e colore. Alle domande su cosa sia la pittura - rappresentazione? Figurazione? Trasfigurazione? - e su cosa connoti il linguaggio pittorico le opere dell’artista rispondono che la pittura è materia, tecnica, segno, colore. È una metamorfosi, la proiezione di un’identità collettiva filtrata dallo sguardo di uno. È una verità, a volte scomoda altre assolutamente falsata, ma è pur sempre una visione, un punto di vista che riaffiora tra le pennellate dense, tra i grumi solidi e tridimensionali, tra soggetto e oggetto, in una continua modificazione della traiettoria che unisce il gesto pittorico con chi lo compie. In un flusso continuo di coscienza e in-coscienza prosegue l’evoluzione pittorica di Alessandro Passaro, in cui il linguaggio si afferma attraverso un’autonomia gestuale capace di estrarre la forma dal colore, l’informazione dalla materia. Un’esplosione istintiva e misurata ad un tempo in cui le tinte trovano il loro naturale equilibrio attraverso pennellate ricche e abbondanti che alternano un “segno” contenuto e controllato all’impulso quasi violento del colore “lanciato” sulla tela».

Se guardo, nel troppo gesto vedo rabbia e non vorrei! E quello “scisma” nel titolo suona di “divisione”. Qualcosa mi manca, spero torni! Sapete l'“istinto” non sempre nutre il guardare e la pittura è guardare e poi è anche aver “canza”, costanza e con essa pazienza! Speriamo torni!

Alessandro Passaro è nato a Mesagne nel 1974. Vive e lavora a Lecce

La mostra rimarrà aperta presso la galleria fino al 20 gennaio 2012 dalle 10 alle 13 e dalle 16.30 alle 20.00

venerdì 9 dicembre 2011

Cavalli a Novoli

Uno mi ha detto: "Ma ci ete stu Mimmu Paladini? Nu cartapestaiu? Ole minte li cavalli sulla Fòcara. Ce centranu?". Non lo so! So che i cavalli sono un segno-icona del lavoro di Mimmo Paladino che cartapestaio non è. Lui è un artista, uno di quelli intruppati da Bonito Oliva nella Transavanguardia. Qualcuno s'è preso la briga di invitarlo a pensare e, come ogni artista fa, ha messo mano alla sua "grammatica". Vedendo la forma della fòcara non ha potuto non pensare ai "suoi" cavalli. Già, a lui il cono, il tronco di cono fa pensare ai cavalli. Che volete farci. Manie d'artista. Sti cavalli lui appena può li piazza da qualche parte. Quest'anno su una "montagna" di sale in Piazza Duomo a Milano. Poi a sfondo di altre installazioni. Insomma i cavalli a lui piacciono. Un "nodo" di classicità, uno spolvero d'antico! Un respiro che non è ne tradizione, ne innovazione. L'arte è in questa sospensione, non si spiega. Qualcuno ha chiesto, è questo il punto, c'è stato un invito, l'artista ha risposto. Poi se un significato vogliamo trovarlo quei cavalli sono omaggio a quelli mangiati, arrostiti a fettine ai bordi della focara d'un tempo!
Contento!?

Contemplare il Tempo

“Parlare per immagini è trovare una nuova valvola di creatività tra le molteplici righe della comunicazione diffusa e nota, un modo per accomunare negli stessi intenti gli abitanti dell’universo parallelo della fotografia”.
Così leggo sul sito che presenta il Mediterraneo Foto Festival una delle "imprese" più interessanti della complessa (e problematica) scena degli eventi leccesi.
Continuiamo a leggere, la suggestione delle parole è forte: “Una passione - parlare per immagini - che trova le sue radici nella voglia di manifestare l’arte e il potere della luce sulle cose, una sorta di sogno che aspetta l’istante in cui tutto è fermato, per ritrovarsi poi nella memoria”.
Il mistero di un clic - il chiudersi della tendina - l'infinitesimo tempo, che rimane impresso, a cucire poesia e poetica con il potere del guardare. Inquadrare è l’arte, tagliare un frammento che dice, dice, dice... agli occhi dell’altro!
“Parlare per immagini è la voglia di lasciare andare dei messaggi, colpire l’osservatore con un significato più o meno raccontato e narrabile, una sostituzione vera e propria di un alfabeto consueto attraverso lettere emotive, sillabe sensazionali, parole empatiche. Ma è anche una forma di pura espressione di una peculiarità interiore, la lente con la quale si è in grado di percepire la realtà contingente, documentando o distorcendo, proiettando o capovolgendo”.È di questa molteplice materia la fotografia, l’“esserci” di cui parla Piero Marsili Libelli., in un intervista a Paese nuovo, la presenza che accoglie e traduce, e si rende interprete.
La fotografia è scrittura può salvare questo tempo che dell’immagine è succube. “Riguardare” allora, è compito dei fotografi, ridare all’occhio la possibilità di comprendere il Tempo, la sua necessità di essere prima che vissuto, “contemplato”. Attraversato col corpo-occhio, filtrato, “com-preso”, accolto. In questo la possibile rinascita, nella distanza che conta la luce e che nella luce trova la direzione. Un pensiero nuovo!
Non si può sperare che questo quando l’orrore ci incontra e le immagini della guerra vengono a noi! Quando il pianto rompe il velo e si mostra nell’urlo.

giovedì 8 dicembre 2011

Aspettando il Natale 2012

Silenzio! Meglio tacere, meglio far finta di nulla e trattenere il respiro sino alla fine delle feste. Siamo condannati a far finta di nulla. E’ la miglior cura contro gli attacchi di nervosismo, tentare di distrarsi, non pensarci, guardare altrove o meglio, cambiare strada e abitudini e allora, la gara è quella di costruire itinerari al riparo dagli addobbi, dalle luci invadenti, dalla plastica, dai babbi natale che si arrampicano sui balconi della gente. Dagli auguri anche quando non li vuoi e non te li meriti. Una gara quasi impossibile, ma volendo, ce la si può fare. Si potrebbe cominciare con il girare intorno ai vicoli per evitare l’incazzatura di una Piazza Sant’Oronzo invasa dal nulla. Non s’era mai visto un tale scempio, neanche la pista di pattinaggio era arrivata a tanto. Ma le vie di questa amministrazione votata al peggio sono infinite. Che ci volete fare? Chissà come sarà il natale 2012?

mercoledì 7 dicembre 2011

Il Pessoa di Pontedera a Lecce

Roberto Bacci e Pontedera sono parte fondamentale del Teatro Italiano dell’Ultimo Novecento... Può sembrare retorico questo attacco, ma non lo è, è verità. Un’avventura nata nella città della Piaggio sull’onda dell’amore per quello che, per una più o meno lunga parentesi, si chiamò Terzo Teatro. Molte le esperienze italiane che risposero al richiamo del Teatro Povero, nella suggestione maturante che Eugenio Barba produsse nella militanza di Holstebro, anche questo un luogo, un paese, una “casa”. Gli anni Ottanta e lo spettacolo tornava ad essere “rito”, passione civica, idea di Leva Culturale attiva nel territorio, presente, capace di interpretarlo nelle sue vocazioni attoriali e nel suo respiro con l’intorno. Un’intorno largo quanto il Mondo. E Pontedera, per una più o meno lunga parentesi è stata centro di un Mondo di Teatri, che lì, nella vecchia sede della Cgil hanno avuto casa e scena. Figure di uomini e di donne che con e per il teatro sono cresciuti sino a farsi Maestri. Non può essere che stretto il legame con Koreja e il Salento che periodicamente hanno ospitato la compagine toscana che torna per mostrare-raccontare la complessità del grande Fernando Pessoa. Giovedì 8 e in replica venerdì 9 dicembre, alle 20.45, la Compagnia Laboratorio di Pontedera presenterà Abito, spettacolo ispirato a Il libro dell'inquietudine con la regia Roberto Bacci, Anna Stigsgaard .
Leggiamo: “[…] Dopo alcuni anni di convivenza con un libro di per sé intraducibile sulla scena - afferma Roberto Bacci - se non con un dichiarato tradimento, Abito è divenuto un omaggio necessario a quel grande poeta e scrittore portoghese che sembra sempre più nostro contemporaneo a mano a mano che le sue opere (e quelle dei suoi eteronimi) sono riscoperte e pubblicate dagli studiosi. La Lisbona di un piccolo impiegato impegnato a tradurre lettere commerciali per una ditta di spedizioni risuona delle musiche e dei canti di questo spettacolo, musiche e canti che si mescolano all’indaffarato via vai di dodici biciclette che rendono vivo e continuamente mobile lo spazio dell’azione. Insieme ad Anna Stigsgaard, abbiamo affiancato ai quattro interpreti della Compagnia Laboratorio undici giovani attori per dare corpo, tutti insieme, all’universo del nostro racconto. Un piccolo universo che prende vita in un grande spazio scenico che è, a ben vedere, la nostra Lisbona quotidiana […] Sabato 10 dicembre, il centro storico di Lecce si colorerà con Lisboa uno spettacolo di strada (ingresso libero) dedicato alla città dove Pessoa ha trascorso quasi tutta la sua vita Lisbona. Appuntamento previsto in Piazza Sant’Oronzo, alle 20.45.

Un disegno di Gianluca Costantini

martedì 6 dicembre 2011

Sottigliezze

Ci mancava la coniglietta per distraci dalle cose che premono. In fondo l'arte serve a "divagare". Come le luci sui palazzi. Ha ragione il vescovo D'Ambrosio a lamentare i disagi che le necessità "scenografiche" hanno causato in Piazza Duomo, ma il buio non era tale, ahimè, da "mascherare" l'ambaradan montato per far la prioezione sulla facciata della Cattedrale. Nessuna magia, tutto a vista! Ci sono "lavori" che dovrebbero essere fatti da chi li sa fare. Ecco, è a quel punto che l'arte diventa tale e non lascia scampo al divagare tanto è esatta e "perfetta" specie quella dell'illuminotecnica che chiede alta maestria. Sarebbe stato il caso, in piazza Duomo, di rendere invisibile la fonte di proiezione e ancora di costruire una mascheratura, una "tendina" sul proiettore per evitare il "fuori bordo" sul prospetto. Ma son sottigliezze (quelle che fanno la differenza, l'unicità). Anche la "costellazione" a Porta Rudie pecca di pressappochismo allestita com'è non concedendo niente alla prospettiva. Vabbè, star sempre a criticare ma sapete, fare il "pelo" è piacere sottile, ah, a proposito, quello della coniglietta?

Le &dizioni clandestine di léandro G. càmiless

Ecco l’editoria d’arte! Un libro è oggetto di scoperta. Un libro, nelle mani dei maestri “facitori”, diventa scrigno di bellezza. E la “bellezza”, sapete, è cosa “segreta”, data ai pochi che la sanno custodire. Così è quando l’oggetto tesse cura e sguardo, incrocia i nodi del fare, delle esperienze autoriali, trovando i fili di percorsi che, nell’Incontro, si compiono nell’Opera. Gli occhi in cerca, lo stupore si palesa nel voltar di pagina. L’enigma, chiama e, la lettura, svolge le trame. “La perfezione e l’imperfezione sono in realtà soltanto modi di pensare” leggiamo parole di Baruch Spinoza, accompagnano l’impresa della casa editrice “lèandro G. càmiless&dizioni clandestine” che oggi, mercoledì 7 dicembre, alle 17.30, nella Sala Open Space di Palazzo Carafa, presenta il volume “Codice ‘c”, dissertazioni cartesiane a cura di Léndaro G. Càmiless con gli interventi di Antonio Basile, Tiziana Dollorenzo Solari, Alessandro Laporta e Maurizio Nocera. La casa editrice che avrà cura di “libri e non solo libri, da leggere, guardare e toccare” è “il frutto della semina di precedenti imprese”, “luoghi” che hanno inteso “restituire centralità al fare rinascimentale per unire, confrontare e mischiare saperi”: l’Incontro-Opera, artefice di pensiero. R-innovatore di senso! Ah quanto ce n’è bisogno, ora che potremmo trovare la parentesi povera d’un diverso consumare il Tempo che c’è dato. Dopo lo svuotamento risapere pagine da sfogliare, lentamente sfogliare, andando in cerca tra i righi di ciò che solo il contemplare può portare in dono. Così è “Codice ‘c”, un volume oblungo, conta 468 pagine, tirato in soli 400 esemplari, le prime 50 copie sono corredate da un’opera grafica originale di Donatella Stamer, impressa nel mese di giugno con torchio a stella “17” delle Officine Lazzarini di Urbino. La culla marchigiana delle mani, la città ideale dove, quelle, le dita, si mischiarono ai mattoni per fare la meraviglia, tentando visioni nell’intrico del “buio”. Quel buio, abitato da fiere, da mostri guardati da palazzo Ducale, è fiaba in quest’oggi senza morale, senza recinto, senza Arte. E allora ecco che “la missione è quella di (tornare a) diffondere la pratica della ricerca attraverso i vari linguaggi dell’uomo, perchè possano parlare le opere degli incisori, dei disegnatori, dei musicisti, dei poeti, dei letterati e dei maestri del pensiero...”. “Augurandoci di aver detto qualcosa, lasciando perdere il racconto proprio perchè la verità si dice, non la si racconta”, così son quelli delle “&dizioni clandestine” e occhio a quella “&”! Vuol dire molto!

lunedì 5 dicembre 2011

Meglio i greci?

“Saremo più poveri?”,chiede. “Certo sì, ma non faremo la fine della Grecia!” rispondo. “Bella soddisfazione”, mi guarda sornione e ride, lui povero lo è già, e anche saggio. “Chissà come andrà - dice - potremmo tagliare i “ponti”, siamo penisola, non è difficile - e navigare. Lasciarci al Mediterraneo. I greci in fondo son già un po' così, - ride e prende il piglio del saputo “antropologo” - sempre dannatamente indipendentisti, i greci. Sempre pronti a sottrarsi alla tenaglia d'una appartenenza soffocante. Son convinto che quello che a loro capita oggi sia frutto di un temperamento che ama far pausa con sigaretta e Ouzo e caffè. Un lungo contemplare che è antico quanto è antica la natura, la Cultura che l'ha impastata, le pietre che l'hanno elevata al cielo in gloria e in caduta d'eroi. Noi i nostri eroi gli abbiamo persi e non ci resta che plaudire adesso a Mario Monti che esorta la sua ministra che piange con un “si commuova ma spieghi”. Meglio greci?

venerdì 2 dicembre 2011

Il sogno del lago

Già, dovevamo aspettarcelo, non è solo questione di Geografia Politica quella della Regione Salento, qui, il fatto è di Geografia Fisica! Sì, è proprio il territorio la mira dei neo Messapi. Certo, li capiamo, è nostalgia, con le paludi i loro padri hanno avuto a che fare e noi con loro sino agli anni Trenta del secolo scorso, anno più anno meno. Fu grazie alle grandi bonifiche che il territorio fu sanato ed “igenizzato” ma che volete, la “Storia” spesso si scontra con la “Geografia” ed ecco che, il Salento s’appresta, nei sogni del Movimento dei movimenti di Paolo Pagliaro, a diventar lacustre. E così la penisola assetata e secca che i poeti hanno cantato lascerà luoghi al sogno del lago! Già ve lo sareste mai immaginato? Le cave di Lecce riempite con le acque reflue. Potremmo così pensare d’andare al lago, avremo la barchetta a Marco Vito, potremmo far lo sci d’acqua senza andare a San Cataldo per la gioia delle zanzare. Ah, pare che il progetto sarà finanziato dalla Regione Puglia... Bha! Son senza parole...

Cos'è un dono

Triste Natale? Ma no, sorridiamo! Che senso ha amareggiarsi. La crisi s’accorda con il freddo, il clima rafforza la necessità di scaldarsi nella vicinanza. La festa ha due modi per esser festa: sprecare che è spendere e spandere l’inutile spacciandolo per dono e l’opposto che è dono veramente. L’opposto è scegliere, attenti a far cosa grata a chi sentiamo vicino, necessario, amabile. L’opposto è aver cura di uno sguardo sincero, frontale, aperto per scoprire il sentire. Il dono, accoglie il mondo, il suo poco di pane. Il “…pane nero della …malinconia”. Il venire dei fiori, l’incedere del cammino, le soste col cuore, i piccoli affanni e il considerare. Scorge e scopre. Esclama, esorta. Sveglia e interroga dove non c’è risposta! Il dono è cosa dei poeti, non vuole denaro. Sorprende, stupisce, scuote, “è nascita che non trova fine”!

Pagodine

Piazza Mazzini è sommersa dalle pagodine. Desolatamente bianche. Si prepara il prossimo mercato natalizio. La fontana è scomparsa circondata dalla plastica. Che dire? Scelte che non condividiamo. Ogni anno si ripropone la questione e ogni anno si tenta la soluzione provvisoria, è così! Eppure s’è innaugurato un mercatino dedicato all’etnico, si configura un nuovo spazio mercatale a Settelacquare, una nuova enorme area per il bisettimanale, ma nella contingenza non si trova migliore situazione che “ingolfare” con un orribile allestimento la Piazza della città nuova. Forse l’unica consolazione e che i commercianti così sistemati sentiranno meno freddo, l’ambiente è più raccolto, riparato, la piccola kasba avrà forma circolare così si potranno guardare gli uni con gli altri nell’attesa che qualcuno scelga di comprare...

Eccoci

Eccoci!